L’amore (non corrisposto) e il bene (rifugio)
Tutti noi siamo stati innamorati, abbiamo imparato da piccoli. E fin da piccoli abbiamo imparato che l’amore più doloroso ma anche più persistente è quello non corrisposto. Per quelli come me, che nel ’92 avevano 17 anni, quel Palio vinto alla grandissima, fu un fugace amplesso che ci ha lasciati orfani di quella bella donna che ci aveva portati a letto per una sola volta. Una con la quale, da inesperto fai cose pazzesche e irripetibili. Una che ti fa credere che sarà così ogni volta che vuoi e che poi ti lascia senza neanche salutare e per oltre vent’anni ti fa restare lì ad aspettarla a bocca asciutta. Da lì le nostre vite sono state sempre segnate.
Segnate da quel sogno e dal sogno di riviverlo. E hai voglia a provare a raccontarlo a chi ha cinque o venti anni meno di te. Noi siamo stati gli ultimi a salire in quella alcova e anche quelli che hanno vissuto la malinconia di quella mancanza forse più di tutti.
Di un amore non corrisposto si vanno a rileggere i messaggi, i biglietti scritti sottobanco, le vecchie lettere ciancicate. E così a volte capita di andare a riaprire il numero unico, gli articoli di giornale, a ricercare volantini e magliette ormai non più indossabili.
E nonostante tutta questa grande malinconia, la Contrada resta sempre la più bella casa in cui rifugiarsi quando le nostre umane disgrazie ci rimettono i fila i valori a cui dare importanza. Ognuno di noi ha la propria coperta di Linus. Per alcuni sono le scarpe da calcio, per altri l’amante, per qualcuno la casa di mamma. Per me il “bene rifugio” è il portone di Società, la Sala delle Assemblee, il Chiassino, anche quando puzza di piscio.
Crescendo si impara a leggere le persone, soprattutto gli amici, e sempre più spesso ci si accorge come ad ognuno di noi la vita abbia dato e tolto. Qualcuno non c’è più, con un vuoto assordante; altri hanno dovuto superare ostacoli che sembravano montagne; altri continuano a ridere imperturbabili, chissà se capiranno mai. Ognuno di noi ha le sue rughe, anche quelli a cui un tempo potevi dare qualche vile scapaccione. Da bambini mettono soggezione, da grandi si impara a capirle perché le stesse rughe ce le hai anche te. E’ per questo che, come gli zombie di “The walking dead”, si torna tutti lì, anche senza essersi dati l’appuntamento.
Ogni anno che passa, nonostante sembra di perdere la carne a brandelli, il “bene rifugio” torna ad essere la coperta più rassicurante. Nonostante tutti quegli inutili giri primi che, nell’allegoria dell’amore non corrisposto, valgono come una risata di scherno presa in faccia da chi ami da morire da tutta la vita. E che non puoi fare a meno di continuare ad amare.
Io continuo ad andare avanti. Per fermarmi dovete spararmi in testa. Come a uno zombie.
L’illustrazione è di Benedetto Cristofani