Morire: prima di Facebook era “riposare in pace”
Se ti succedeva di morire ed eri sconosciuto ti piangevano i parenti;
se eri famosissimo c’era un servizio al telegiornale.
Ma siccome ora anche lo sconosciuto c’ha mille amici,
me lo dite a che servono i manifesti attaccati ai muri?
Tanto la notizia di un trapasso ti arriva come un lampo
mentre controlli gli accidenti che si mandano i tuoi amici.
Un tempo capitava che se per una settimana non uscivi
padellavi il manifesto e dopo qualche mese chiedevi:
“Ma Tizio che fine ha fatto, è da tanto che ‘un lo vedo…”
“Ma come ‘un lo sai del coccolone? Ormai ‘un puzza neanche più!”
Prima, se eri una celebrità l’articolo te lo scrivevano
avanti che tu morissi e si chiamava “coccodrillo”.
Anche ora lo scrivono prima che tu muoia
ma non si chiama più coccodrillo, si chiama “bufala”.
Poi capita che muori per davvero e se hai fatto trecento canzoni,
di cui duecentonovantanove capolavori,
c’è quello che va a cercare la trecentesima
nella versione fatta mentre tossivi,
pur di postare qualcosa a cui gli altri non avevano pensato.
E poi spunta sempre quel video inedito
che se volevi che rimanesse inedito forse un motivo c’era.
Perché diciamoci la verità,
a noi di David Bowie,
di Prince
o di Moira Orfei,
mica ce ne importa per davvero.
Sennò si uscirebbe da Facebook
e si andrebbe a trovarli al cimitero.
Di portare rispetto ai morti che vuoi che ce ne freghi
se i primi a cui non si porta rispetto sono proprio quelli vivi.
A noi ci importa di fare bella figura,
di essere apprezzati,
di prendere un “mi piace”,
di essere taggati.
Dell’arte, del talento,
degli affetti di chi ci sta male per davvero,
lo sai che ce ne cale?
Aspetta, aspetta, è morto un’altro;
c’ho da postare!