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Old Bicycle

“Selfi” contro “Ribellini”: la Guerra Incivile

Alcune premesse doverose prima di questo ennesimo post su un bellissimo evento sportivo che si è appena svolto nella mia città:

  • Non sono un appassionato di ciclismo
  • Non ho più una bicicletta da quando me la rubarono nel 1994
  • Se faccio alcune decine di chilometri duro fatica anche se sono in taxi e non guido io.

Chiarito che non sono di parte, posso spiegarvi perché ho sentito il bisogno di scrivere anche io un  post su la Strade Bianche: non sono un fan della bicicletta ma sono un appassionato di social e di antropologia culturale. E, non ultimo, voglio anche io bene a Siena.

Ho aspettato che si quietassero i rimbombi di quella che è stata una vera e propria guerra civile (anzi, incivile), fatta di post, like, commenti e condivisioni. Una battaglia che ha fatto l’Arbia, ma anche la Diana, la Tressa e i Bottini, colorati in rosso.

Una guerra combattuta tra due eserciti, entrambi con la Balzana sugli scudi: da una parte i Selfi, dall’altra i Ribellini.

I Selfi sono quelli che si autoimmortalano durante l’evento per dire che ci sono stati anche loro (o su una bicicletta a durar fatica, o a sostenere i ciclisti correndogli a fianco, o perché membri dello staffe, oppure perché fermi in fila a lamentarsi di una strada chiusa per alcune decine di minuti). I Selfi si autocompiacciono della loro presenza sul posto, meglio se con la bocca a culo di gallina.

Dall’altra parte dello scherno troviamo i Ribellini. I Ribellini sono quelli che sono contro. Contro a chi dura fatica su una bicicletta, contro a quelli che sostengono i ciclisti correndogli accanto, contro a chi ha organizzato, contro a chi premia, contro a chi viene premiato, contro a chi dice che va tutto bene, contro a chi dice che va tutto male, contro a chi ha bloccato le strade, contro a chi si lamenta di chi ha bloccato le strade, contro le strade, specialmente quelle bianche. Sono contro e si ribellano, ma lo fanno soltanto battendo le mani nel muso alle loro tastiere, come se la loro opinione fosse quella che può farci cambiare opinione. L’argomento prediletto dai Ribellini sono le “file”. Lo sappiamo: tira più un pelo di fila che un carro di buoi.

Ho visto Selfi e Ribellini darsele di santa ragione, offendersi, minacciarsi, trattarsi a pesci in faccia, prendere posizione e non spostarsi da lì di un millimetro. Fin da quando ero piccino, quando vedo due che litigano, mi viene d’istinto entrare nel mezzo per strigarli. Su Facebook questo non è fattibile. Le risse a volte coinvolgono decine di persone che entrano a commentare e se ti inserisci, rischi di essere malmenato da male parole. Il Ribellino medio cerca il pretesto per attaccare, il Selfo lo cerca per autocelebrarsi. Entrambi vogliono portare sul loro carroccio un prezioso bottino di guerra: il famigerato “consenso sociale” che si manifesta oggigiorno con il numero di like che si ricevono. Un tempo il consenso sociale era l’essere persone rispettabili, oggi è pubblicare contenuti condivisibili.  Ogni evento è buono per aumentare le divisioni tra persone che vivono gli stessi problemi, le stesse strade, le stesse opportunità. Le differenti opinioni non contano e non si rispettano: oggi conta il posizionamento. Il valore è dato dalla manifesta indisponibilità a spostarsi dall’opinione che gli altri (non importa se quelli che ci amano o quelli che ci odiano) si sono fatti di noi. E’ prevedibile con esattezza, ciò che quel politico o il suo oppositore, diranno. E ci viene naturale schierarci, anche solo con un “mi garba”, da una parte o dall’altra. Io ancora non so se sono un Selfo o un Ribellino. Io le opinioni cerco di costruirmele lasciandomi la libertà anche di cambiarle. A me la guerra mi fa cacare, specialmente quella incivile che non vuole prigionieri. Specialmente se si combatte usando come terreno di scontro la mia città.

Dove sembra che nemmeno la pietra sia, oramai, più serena.

facebook

Il primo che ti commenta su Facebook

 

Scrivere su Facebook sta diventando demodé, ve ne siete accorti anche voi? Anche quelli che, come me, scrivevano e postavano ennemila volte al giorno si stanno rassegnando all’evidenza che Marchino lo Zucherberg non voleva vedere il nostro gatto; voleva venderci al migliore offerente. E noi ci siamo fatti vendere la vita senza guadagnarci un penny. Vabbè, ormai è andata.

Però ci siamo un po’ annoiati, specialmente da quando Marchino ci ha privato di quella spruzzata quotidiana di Autostima n°5, il pieno di “mi piace”, con la quale andavamo a letto felici, anche se nudi.

I like sono sempre meno, i soldi neanche a parlarne e anche le stagioni non sono più mezze con una volta. Ma questo potrebbe anche passare; quello che non possiamo più ingollare è il Signor “Il primo che ti commenta su Facebook”. Ognuno di noi ha il suo personale, che spesso è sempre il solito. Il caro Umberto Eco diceva che quando scriviamo lo facciamo per farci leggere da un “lettore  modello”, che però purtroppo, combacia raramente con il lettore reale. Scrivo un post che secondo me spacca e mi immagino già il like con commento di quella che avevo salutato ieri in piscina e invece arriva il commento inopportuno e fuori luogo di quello del negozio di scarpe. Che tra l‘altro, da lui le scarpe non ce le compro neanche. Oppure metto una foto di un viaggio e “Il primo che ti commenta su Facebook” è quello che mi fa notare che l’anno scorso ero 10 kg meno. O che lui c’era già stato e ha speso la metà. O che prosegue a dritto la polemica iniziata nel post precedente.

“Il primo che ti commenta su Facebook” va ignorato: un vostro mi piace al suo commento, dato più per educazione che per altro, può portarvi in dote altri 10 commenti inopportuni a post futuri. Non lo fate!

Perché il Signor “il primo che ti commenta su Facebook” non vi segue, vi pedina.

E, come spesso accade nella vita, non è mai quello che avevi desiderato ti pedinasse.

sanremo

Il Nazional Populista anti Sanremo

Il disagio degli ultimi giorni mi ha portato a scrivere questo post in cui riuscirò difficilmente a celare la mia vergogna nel dover ammettere che a me Sanremo mi garba. Vi dirò di più, ieri non l’ho potuto guardare e l’ho registrato. Mi duole ammetterlo così pubblicamente perché, nella fame di like e di consenso social che ci pervade, è spuntato un altro mostro che va ad arricchire la carrellata dei miei Monsters & Co: il Nazional Populista Antisanremese.

Si palesa preferibilmente su Facebook ed ha un’età variabile tra i trenta e i cinquanta; gli under trenta che non guardano Sanremo perché gli fa schifo davvero, di solito evitano di sbandierarlo. Spesso il nostro eroe manifesta il suo dissenso nei confronti del Festival dei Fiori condividendo video di gruppi rock di nicchia che in pochi conoscono ma che mai si sognerebbero di pestare lo stesso palco di Carlo Conti. E men che meno di Maria di Amici.

Il Nazional Populista anti Sanremo ha un paio di obiettivi grossi: Gigi D’Alessio e Al Bano. Sono quelli contro cui sparare sperando di ottenere in cambio il maggior numero di like, commenti, condivisioni. La combinazione di un post a stronco su Gigi D’Alessio + Giusy Ferreri moltiplica di 1,5 volte il numero di like.

Il soggetto in questione, per potersi inserire nel flusso dei tweet con l’hashtag #sanremo2017, mantiene un legame con l’evento lasciandosi un lembo di terra su cui poggiare i piedi: il/la cantante che ha fatto la gavetta (es. “Sanremo guardatelo voi, meno male che c’è Paola Turci”, “La Mannoia vale dieci Chiara!”). In questo modo si dimostra empiricamente di non essere inseriti nel gorgo dei talent (es. “Ma chi c***o è Sergio Sylvestre???”) e di avere guardato anche X Factor (che, alla stregua dell’aver votato Forza Italia o Pd, nessuno dice di averlo fatto mai).

Non vi fidate del Nazional Populista; l’intellettuale che la sera passa il tempo su Herman Hesse non posta contro San Remo. L’esperto di musica, se è un vero esperto di musica, sa bene che la musica è come la buona cucina: c’è quella dello chef stellato e c’è quella della nonna, e sono buone entrambe.

Il Nazional Populista ha bisogno di voi: aiutatelo. La prossima volta che lo incontrate per strada fategli una carezza e ditegli: “salutami i Jalisse”. Lui capirà che avete capito e si commuoverà, e allora, come due membri di una setta segreta, vi scambierete informazioni su Lola Ponce e Giò Di Tonno, su Tosca e su Aleandro Baldi.

Perché, alla fine dei Conti, Sanremo è Sanremo. Anche per lui.

 

 

omino col cappello

Teorema dell’ambulanza: l’importanza del sapersi mettere da parte.

Il terribile incontro di un’ambulanza con la sirena spiegata e il sempreverde Omìno col Cappello, sulla sua potente autovettura: una metafora dell’Italia.

Ci sono, nella vita di tutti i giorni, delle metafore che, nel momento in cui accadono, hanno il potere di farti riflettere. Ero in tangenziale che andavo alla svelta verso Dovemipare, amena località immersa nel verde tra Sarannocazzimiei e Fattiicazzituoi, quando ho sentito in lontananza una sirena che diventava sempre più forte e più vicina. Io e gli altri che erano sulla strada come me, abbiamo messo la freccia e abbiamo accostato per far passare l’ambulanza. Tutti, tranne un meraviglioso vecchietto stile Mr Magoo che, immagino a causa di una conclamata sordità, continuava a procedere a 60 km all’ora con la linea di mezzeria posizionata perfettamente al centro della propria Fiat Panda (quella fatta con l’accetta, per capirsi). Le braccia accorciate per avvicianare il petto al volante nella speranza che, accostando gli occhi al parabrezza, sarebbero tornate quelle diottrie ormai perdute con l’incedere dell’età.

L’ambulanza, non potendo clacsonare, vista la presenza della sirena già attiva, ha iniziato a sfarettare, ma l’imperterrito signore ha continuato a procedere in direzione ostinata e fortunatamente non contraria, fino a quando, sotto gli occhi di una fila di macchine ferme con la freccia lampeggiante, non sono sparite entrambe, la Panda e l’ambulanza, a 6o all’ora dietro la prima curva. Ho sentito la sirena allontanarsi lentamente e, mentre le macchine davanti a me rientravano sulla strada, mi sono chiesto quanto tempo ci sia voluto all’ambulanza per arrivare a destinazione.

Mi sono chiesto chi ci fosse sull’ambulanza: magari era un coetaneo di quell’omino, colpito da trombosi, che aveva già tirato il calzino, magari c’era una ragazza appena caduta di motorino, o una donna che stava per partorire, o un cittino arrotato sulle strisce. Ho sperato di no, che i volontari avessero soltanto fretta e avessero deciso, all’italiana, di accendere la sirena per scroccare un passaggio veloce in una tangenziale vuota. Perché poi succede sempre così, quando qualcosa ti disturba scegli sempre il male minore. Che non è mai la cosa giusta.

E’ qui che parte il ragionamento sulla metafora: per quanto si dica: “largo ai giovani”, “lasciamo spazio alle nuove generazioni”, “facciamo sistema”, ” facciamoci da parte”, basta che ci sia qualcuno che non intende mettersi di lato e lasciare il passo, e tutto è bloccato. Il teorema dell’ambulanza funziona solo se tutti capiamo che quando c’è qualcosa che merita di passare avanti ai nostri interessi, il vantaggio per tutti è quello di mettere la freccia e fermarsi. Perché un giorno su quell’ambulanza ci si potrebbe essere noi, con la nostra priorità.

Perché è vero che la strada è di tutti; ma basta un omìno col cappello (o senza) che si metta di traverso e tutto questo parlare di cambiamento, di futuro, di civiltà, si ferma come una fila di macchine sul ciglio della strada che non possono fare altro che offendere quell’omino di merda, in un post su Facebook. O pensare di votare il primo che ti dice che le Panda andrebbero rottamate. O, peggio, al movimento di quelli che vogliono abolire gli omìni col cappello.

PS. Secondo voi dove andava quel Signore? Secondo me era diretto a Matelovai, frazione di Tubbattessi. Sì, ma con calma, eh.

donald trump

I Clito Ridens (e l’Ossessione del Sessismo)

“Ahi, ahi ahi, Signora Longari; mi è caduta sull’uccello!” (Mike Buongiorno)

Grazie al cielo non devo votare in America. Sono sollevato di non dover uscire di casa e recarmi a prendere una scheda sulla quale mettere una croce che per me sarebbe comunque sbagliata. Già me lo fanno fare in Italia, di farlo anche negli Usa non ne avrei proprio voglia. Però, come tanti, mi interessa sapere chi vincerà, non fosse altro che per i film che mi toccherà vedere nei prossimi anni. Vorrei sapere chi dei due influenzerà di più Hollywood: Clint Eastwood o Will Smith? Mi piacerebbe sapere se il mio nemico nei prossimi dieci anni saranno gli Arabi o i Maori. Il diabete o la celiachia?

Chi l’avrebbe mai detto; la battuta d’arresto di Donnie non fu il muro contro i messicani, il sostegno della lobby delle armi, il terrore di un’invasione di Marte. La battuta di arresto per l’Ex Futuro Uomo Più Potente Del Mondo è una battuta sulla fica. Fuck off! Sei fuori!

Siamo un popolo di iene ridens che si cibano di nefandezze, siamo disposti a dare il voto a persone di cui non ci fideremo a lasciargli neanche il nostro ombrello ma ciò che ci indigna veramente sono le battute a sfondo sessuale. Siamo un popolo di “clito ridens”: da soli sghignazziamo sul nostro amico minidotato ma se in pubblico ci tocchi quel bottone, saltiamo sulla sedia.

Che ci vuoi fare, siamo quelli per cui in politica se “Ruby” (per questo ha la maiuscola) è più grave che se “rubi” (per questo ha la minuscola).

Il sesso passa immediatamente, buca lo schermo, è di facile comprensione. Per questo se dici: “il Candidato, nel 1973 era in tempesta ormonale e dichiarò che avrebbe trombato volentieri anche sua nonna”, risulta più deprecabile che “il Candidato ha dichiarato ieri che i Messicani sono tutti dei cani rognosi che vanno messi in una fossa comune”.

Se volete candidarvi adottate una strategia di comunicazione aggressiva, persino violenta in certi casi. Pensate le prime dieci oscenità che vi vengono in mente per denigrare poveri, immigrati e disabili, ditele e tutto sarà ok. Esprimetevi con iperboli che incitano all’odio e alla demolizione di chi non vi sostiene e salirete nei sondaggi. Pensate il peggio e raccontatelo; ma per carità, tenetevi alla larga dal sesso, altrimenti la vostra candidatura durerà quanto un’eiaculazione precoce.

Perché quello che conta, è che i clito ridens, non inizino a sghignazzare di voi. E che non pensino che anche voi avete la vostra Lewinski nell’armadio (che proprio uno scheletro non era).

Il sessismo è la nostra ossessione.
Ma forse è solo perché ci hanno abituati a fare solamente dei ragionamenti del cazzo.

julio-iglesias

Il Paraculio

“A volte sono un bastardo e a volte un buono”, cantava il grande Iglesias Sr. Ecco, io oggi sono un bastardo. E voglio descrivervi il più viscido degli esemplari di essere umano: il “Paraculio”. Io lo chiamo così perché ha un sorriso sempre a 64 denti, proprio come il buon vecchio Julio. E come lui ha una grande capacità di sedurre gli sciocchi. Lo conoscete tutti, dovete solo dargli un nome proprio.

Il Paraculio è come i gatti, cade sempre da ritto e se fosse una fetta biscottata imburrata, state certi che non cadrebbe mai dalla parte del burro. Il burro gli serve piuttosto per farvi la festa, e spesso ve la fa anche senza burro.
Il Paraculio era il più viscido dei vostri compagni di classe, quello che non vi passava mai il compito, quello che per fare bella figura vi passava sopra. Ognuno di noi ha un suo Paraculio personale.
Il Paraculio ha sempre vissuto all’ombra di qualcuno più potente di lui e quando vi ha fatto una telefonata era senz’altro perché gli serviva qualcosa da parte vostra.
Il Paraculio fa sempre buon viso a cattivo gioco e ve lo ritroverete nel mezzo per tutta la vita. Sarà quello che vi inviterà al proprio matrimonio perché gli conviene, al battesimo di suo figlio perché gli fate comodo. E quando voi cadrete in disgrazia, e voi lo farete dalla parte imburrata, statene certi, il Paraculio si dimenticherà di aver salvato il vostro numero in rubrica.
Quando il Paraculio sarà ad una cena e qualcuno parlerà di voi, negherà di aver fatto finta di esservi amico e lo farà anche prima che canti il gallo. “Sì, lo conosco di vista…”
Il Paraculio farà carriera, voi no.
Il Paraculio troverà i pertugi da cui passare, perché quando si sguiscia ci si infila dappertutto.
Il Paraculio lo troverete ad attendervi con la corona di fiori hawaiana, quando sarete riusciti a rialzarvi, e penserà di avere nuovamente bisogno di voi.
E’ in quel preciso momento che voi, con tutte le vostre forze, dovrete sfoderare il più luminoso dei vostri: “Telovappigliannelculo!”. Poi lo guarderete negli occhi e con una pacca sulla spalla gli direte: “Addio, caro.”

E vi sentirete le persone più felici dell’universo.

AlmoNature

Animali Umani VS Umani Animali

Nel lontano anno 2000, scampato al Millenium Bug, mi sono laureato in Scienze della Comunicazione. Portavo una tesi dal titolo: “Il Palio Attaccato”. L’argomento era ovviamente il Palio di Siena. “Attaccare” il Palio, a Siena vuol dire vincerlo ma già nel 2000 la preoccupazione, anche nell’ambiente accademico, era rivolta agli “attacchi” da parte di gruppi più o meno organizzati che, spinti da un sedicente amore per gli animali o, come credo, per ottenere il famoso quarto d’ora di celebrità, scelgono ancora oggi con cadenza regolare la festa senese come nemico pubblico numero uno.

Vi risparmio il contenuto della tesi e di quali tecniche di comunicazione secondo il me di allora potevano essere attuate a tutela del Palio; quello che mi interessa raccontare è una parte, secondo me la più acuta, del lavoro che osservava come, a partire dal dopoguerra, l’animale abbia assunto un’accezione e una percezione presso i pubblici di massa che prima non aveva. Questo passaggio si attua negli anni del boom economico, in cui le campagne si svuotano di abitanti e gli animali da cortile come il cane, il gatto, il ciuco, diventano per chi, rifugiatosi in città non può farne a meno, animali domestici e veri e propri famigliari. Quello che era Fido, Bubi, Micio, assume un nome proprio. Sono gli anni in cui Disney si inventa il villain Crudelia De Mon che non ha come obiettivo quello di distruggere il mondo ma bensì di farsi una pelliccia di dolcissimi dalmata. Disney dà nomi propri a Lilli e al suo fidanzato bastardo (il bastardo più amato fino all’arrivo di Jon Snow), agli Aristogatti, a Dumbo e a Bambi. L’animale con Disney non è più bestia da lavoro o anello inferiore della catena alimentare, è il protagonista di una storia.

E’ un fenomeno che definirei “antropomorfizzazione dell’animale”; la bestia che diventa umana e alla quale si attribuiscono sentimenti che di animale non hanno niente. E’ la comunicazione bellezza. Disney ha tracciato l’inizio del percorso, ci ha abituati a vedere la realtà da un altro punto di vista e quel punto di vista è diventato una nuova normalità. Una normalità che porta alcuni a considerare gli animali più umani degli umani.

Chi gioisce per la morte di un torero, chi ammazzerebbe l’antipatico giornalista solo perché sventola un salame, chi distrugge anni di sperimentazioni in laboratorio perché fatte su delle cavie, chi toglie il miele e il latte dalla dieta di un bambino, è figlio di una deriva iniziata con il primo numero di Topolino. Che c’entra; anche io ne sono figlio e avrei dei seri problemi ad ordinare una Polenta con Stufato di Bambi in una baita di montagna oppure un piatto di Roger Rabbit alla Cacciatora.

I tuareg hanno centinaia di nomi per chiamare un cammello, ma sono nomi che descrivono le infinite modalità in cui quella bestia, che è contemporaneamente compagno di lavoro, mezzo di trasporto, cibo, patrimonio, materia prima per vestirsi, vive le varie stagioni e i suoi malesseri nel corso della sua vita. Una vita preziosa che deve essere rispettata non perché l’animale abbia dei sentimenti umani ma perché è parte di un tutto di cui noi stessi facciamo parte con il ruolo di esseri umani. I tuareg sanno bene dove finisce l’animale e dove inizia l’uomo. Per descrivere l’animale hanno centinaia di nomi, per descrivere l’uomo soltanto uno: uomo.

E vaffanculo a Walt Disney.

 

L’immagine del post è tratta dalla campagna realizzata per AlmoNature da Oliviero Toscani

carota

Silvano, il leader vegano

Mi chiamo Silvano e sono vegano. Ma badate bene, non perché amo gli animali; no, non è per quello che sono vegano. Sono vegano perché il mio sogno è sterminare le piante. Così le mangio, e da quante ne mangio sono diventato anche bulimico. Sono vegano e bulimico. Perché odio le piante? Semplice: perché mi rubano il lavoro! Vedrai, io vendo ombrelloni! Pensa a quanti ombrelloni potrei vendere se non ci fosse nemmeno un albero. E poi le piante non fanno niente tutto il giorno e ci costano. Lo sapete quanto costa una pianta allo Stato senza fare niente? Non lo so, ma sicuramente ci costa un monte. Per me le piante andrebbero sterminate, o perlomeno che stiano a casa loro. Ci sono già i boschi; che ci fanno le piante in città? Vengono a rubarci il lavoro! Stiano nei boschi e ci lascino in pace qui; con gli ombrelloni.

Ho anche fondato un movimento contro le piante: il MUP (Mangiatevi Una Pianta). Se ognuno di noi mangiasse anche un solo albero al giorno, considerato che siamo 7 miliardi, in due anni sarebbero risolti tutti i problemi. Prima gli alberi, poi passiamo ai cespugli, che tanto quelli non fanno ombra. Però, siccome le piante vanno educate da piccole, si mangiano anche i cespugli, almeno imparano. Quando vedo le erbacce che crescono sulle mura io le strappo e le metto in un sacco, poi quando arrivo a casa le mangio scondite, anche se non c’hanno i capperi. L’altro giorno trovai un Assessore che mi disse: “Bravo, lei è un grande cittadino che libera le mura dalle piante”. “Sì, ma quando ho finito qui, poi passo al Parco. Vedrai che piazzale dopo.”

Ma ultimamente mi sono accorto che da soli è dura, anche perché si rischia di sbagliare. Un paio di settimane fa per sbaglio mi misi a leccare la muffa dal box doccia della palestra. Uno che era con me mi chiese cosa stavo facendo e gli spiegai la mia filosofia. Lui mi fece notare che le muffe non sono piante ma “funghi pluricellulari, capaci di ricoprire alcune superfici sotto forma di spugnosi miceli” e poi chiamò il 118. Mi fecero un TSO. Sono stato tre giorni alla neuro e m’è toccato mangiare tre fettine di roast beef per farmi dimettere; così, per depistarli. Ma non tutti i mali vengono per nuocere. Mi hanno assegnato ai lavori socialmente utili: devo fare 40 ore all’all’Orto Botanico, ahahahahahaha! Vedrai quello che ci rimane…

Andiamo; le piante vanno sterminate! Spero proprio che alleghino a Il Giornale il libro: “Più seghe per tutti”. Quando tutti ce l’avremo in mano basterà dire: “l’ora della sega è giunta!”. Non ci saranno più Boschi, e nemmeno Renzi.

Lo so, il mondo non è ancora pronto per la nostra rivoluzione;ci prendono in giro, polemizzano, fanno satira. Ma vedrete che un giorno non si muoverà più neanche una foglia. Gli allergici al polline respireranno bene 12 mesi su 12. Gli intolleranti al grano riscopriranno la tolleranza. Quando due fidanzati si lasceranno non si diranno più: “ti ho piantato” ma ” ti ho sbarbato dalla mia vita”.

E una volta che il pianeta sarà ormai desertificato, taglieremo i pollici a quelli che hanno il pollice verde; obbligheremo gli animali carnivori a mangiare verdure, anche se non ci saranno più verdure da mangiare; invaderemo l’Amazonia ed esporteremo la foresta pluviale creando una catena di fast food e la gente farà la fila davanti “a McZonia”. E quando anche quella sarà senza un filo d’erba. ci butteremo nella fossa delle Marianne e attaccheremo le alghe, che sono piante pure quelle, anche se si nascondono bene. E quando anche le alghe saranno esaurite, ognuno mangerà le proprie piante dei piedi. E nessuno avrà più bisogno di muoversi. E rimarremo a casa. Immobili. Come piante.

 

L’immagine è un annuncio realizzato dall’agenzia tedesca KNSK Werbeagentur per l’azienda produttrice di coltelli WMF.