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tommy neonato

Come fa un neonato a profumare?

Un dubbio mi tormenta da una decina di giorni: un bambino che deve nascere resta per nove mesi sempre più schiacciato tra stomaco, vescica e intestino, dei posti dove si producono tra i puzzi più insopportabili del mondo; quando viene alla luce nessuno si prende il disturbo di lavarlo con saponi francesi, al massimo una passata di carta come faresti col parabrezza dopo che hai attraversato un guado fangoso al Camel Trophy. Eppure, appena ti mettono tuo figlio sotto il naso, ti sembra di sentire l’odore più bello che tu abbia mai provato. Mi sono chiesto come questo sia possibile, perché vabbene l’ebbrezza del primo incontro, passi pure l’irrazionalità data dall’euforia, ma se tiri fuori un fiore da un cassonetto, il fiore puzza per forza di cassonetto.

Ci ho provato a spiegarmelo e forse stanotte, mentre tenevo un biberon in mano, credo di aver capito: un figlio è una doccia. Può essere bollente, fredda o miscelata a modino. Comunque, ti lava. Ti porta via il fetore che avevi addosso prima e ti sembra che quel profumo provenga da lui. Sbagliato! Viene da te. E te lo devi godere perché dura poco, perché subito ricominci a sudare di nuovo, a lamentarti, ad impuzzolirti con le ansie e le paure. I neonati non profumano, è la tua testa che, per un attimo, odora di buono. Se ci riesci puoi farlo durare per molto tempo, ma bisogna essere molto bravi e dimenticarsi che la logica sta da tutt’altra parte.

caramella

La caramella amara che non puoi sputare

Il dolore per la perdita di un amico è una caramella amara che non puoi sputare. Ci sono caramelle piccole e altre grandi come una pallina da ping pong, che non lasciano spazio a nessun altro sapore e che un dio pagano molto bastardo ha deciso di metterti in bocca, solo perché ne aveva voglia.
Una caramella di fiele, foderata di radicchio e impastata col cerume. Dura come un sasso.
Ti tocca tenerla lì, e tutto quello che provi a mettere in bocca, anche fosse miele, ti sembra amaro. E non c’è requie: giorno e notte hai l’amaro in bocca.
Ci sono alcuni che hanno la saliva più forte, forse più acida, e dopo un po’ di tempo, riescono ad ingoiarla. Altri che hanno una saliva più dolce e proprio non ce la fanno. Che vivono costantemente con la voglia di vomitarla. Ma quel dio bastardo ha deciso che deve restare lì.
E allora ci vuole pazienza. Che se non ce l’hai vorresti morire anche te.
E avresti voglia di masticarla, di romperla come fai con le caramelle di zucchero. Ma i tuoi denti sono denti che se schiacci forte si rompono. Io c’ho provato a romperla e ho perso tutti i molari. Allora ho cominciato a succhiarla, in silenzio, prendendola per sfinimento. Per farla ammorbidire. O almeno ci provo. Grattandole i bordi come il conte di Montecristo che, per uscire di galera ci provava con un cucchiaino. E a forza di succhiare cerco di isolare l’amaro dagli altri sapori che la vita mi propone. Vabbè, l’amaro prevale ma si comincia a risentire anche il salato, il frizzante, il piccante. Ci vuole tempo, non bisogna avere furia. Che via via, di caramelle amare più o meno grosse, ti toccherà risucchiarle. E se non ti abitui, ti dimentichi di quando eri un bambino e le caramelle che ti davano avevano solo un sapore dolce. Quello che le caramelle dovrebbero avere.

Siena, 1 giugno.

insonnia

L’insonnia secondo me

Amici e amiche, faccio outing: sono cintura nera di insonnia. Terzo dan!

Con un ‘esperienza ormai ultra ventennale, posso scrivere un trattato sul perché e come si genera l’insonnia. Quella degli altri non ne ho idea ma la mia credo di avere capito come e quando si manifesta. La mia insonnia è un riflesso condizionato che si attiva in presenza di condizioni in cui la coperta è troppo corta per mancanza di energie, di tempo, di denaro o di stimoli, di ordine.

L’insonnia per mancanza di energie: è quella che mi capita con maggiore frequenza. Più sono stanco e meno dormo. Il problema è che meno dormo e più sono stanco. Capita di arrivare a casa, cenare, accasciarsi sul divano e perdere la vita per un’ora e in quarto e poi, verso le 23.00, risvegliarsi con gli occhi a civetta e chiedersi: “E ora che cazzo faccio fino a domattina?”. Perché il sonno è come la Pasqua, quando arriva arriva (meglio se non stai guidando). Ma quando se ne va, non c’è Pasquetta. E’ andato. Fine. Se ne riparla domani dalle 21.45 alle 23.00. E durante la notte insonne, te che sei lungimirante, nel senso che prevedi che domani pomeriggio in riunione parlerai come Sloth dei Goonies tra gli applausi degli astanti, cerchi di portarti avanti con il lavoro del giorno dopo. E capita anche che vengano fuori delle ottime idee che, facendo entrare in circolo una spruzzata di adrenalina, ti levano le briciole di sonno che ti erano rimaste.

L’insonnia per mancanza di tempo: è quella che accade quando ti rendi conto che ti si sono accumulate trecento cose da fare di cui ti manca da fare il 4% per arrivare in fondo ma che ti generano un’ansia micidiale. Un piccolo trucco per superarla immediatamente è quella di farsi una bella lista di cose da fare. Di solito alla fine della lista ti addormenti per 3 quarti d’ora che, nell’economia generale della giornata sono come una ricarica telefonica da 2 euro (serve a poco ma meglio di niente).

L’insonnia per mancanza di denaro: quando si verifica, solitamente, non passa in un periodo breve. Si curerebbe con una bella vincita al lotto, non dico Superenalotto eh, l’insonne per mancanza di denaro ha aspettative basse, che di solito coincidono con le cartelle di Equitalia che ha fatto rateizzare al commercialista. Da questo tipo di insonnia sono esenti i menefreghisti e i cascatori in piedi. Per tutti gli altri non c’è nemmeno più Mastercard.

L’insonnia per mancanza di stimoli: la noia si nasconde letteralmente dentro la parola insonnia, fateci caso. Quando siete apatici, senza motivazioni, senza cose pianificate da portare in fondo, è proprio lì che perdete il sonno. L’avere tempo a disposizione, mentalmente vi tiene svegli per non perdere il tempo del sonno che sarebbe prezioso per pensare a come riempire il tempo della veglia. Il ragionamento è un po’ contorto ma se lo leggete con calma lo capite. Tanto avete tutta la notte per rimuginarci sopra.

L’insonnia per mancanza di organizzazione: è quella che succede perché non avete organizzato bene quello che avete da fare. Come tutti gli altri tipi di insonnia si cura cercando di mettere in fila le cose assumendo nel tempo la consapevolezza che c’è sempre qualcosa di prioritario e di secondario. E le cose secondarie a volte è bene lasciarsele dietro le spalle. Perché, anche se non dormi, la giornata sempre di 24 ore è. E di più non è possibile ottenere dal proprio tempo a disposizione

 

Qualunque sia la vostra insonnia abituatevi a gestirvela da soli e se vivete o volete bene a qualcuno che ne soffre non gli dite: “Devi dormire!”. Chiedetegli piuttosto: “Quale mancanza hai che posso aiutarti a colmare?”

 

PS. Sulla mia tomba scriveteci: “Risposa in pace. Almeno ora. Forse.”

L’immagine è tratta da una campagna pubblicitaria realizzata dall’agenzia brasiliana Carnaby per le palestre Corpus Academia Gym.

ginocchio sbucciato

I ginocchi sbucciati

A Siena le ginocchia si chiamano “ginocchi” per cui passatemi la licenza poetica del titolo.

Stamani ho rivisto, dopo tanto tempo, un esemplare di bambino con i ginocchi sbucciati. Credevo fossero in via d’estinzione e invece, quel ragazzino che andava a scuola con un pantalone della tuta alzato e con il ginocchio fasciato da una garza, mi ha rimesso in moto la mia macchina del tempo personale. Mi ero rassegnato al fatto che i bambini avessero smesso di giocare per la strada procurandosi delle ferite e quella gamba malconcia mi ha restituito una speranza. La speranza di rivedere qualche gruppetto di bambini che, invece di andare a scuola, si trovano in Piazza del Mercato a fare il Palio delle biciclette, tirandole a sorte perché nel Palio si fa così e poi tornano a casa inventandosene un’altra per giustificare quei jeans strappati e sanguinosi. Mi ero rassegnato al fatto che a forza di difendere i nostri figli dal bullismo, gli abbiamo tolto l’educazione dello scapaccione, della masa, del biscotto, della piffera dati a fin di bene.
Mi ero rassegnato al fatto che, in un mondo in cui tutto è organizzato, anche il tempo libero ci rende prigionieri. Prigionieri di orari da rispettare, di lezioni di sport dove gli amici non li scegli da solo, prigionieri di un’educazione che non prevede la maleducazione che si trova in natura nel corso della vita. I ginocchi sbucciati erano un dolore terapeutico, perché la vita ha bisogno di croste che si formano e poi staccano al tempo giusto. E se provi a staccarti le croste dal ginocchio prima del tempo, nove volte su dieci tocca ripartire da capo, dalla carne viva. Ed è più facile che resti la cicatrice.

Siano benedetti i ginocchi sbucciati e sia benedetta la vita, anche quando è dura e grigia come la pietra serena.

joker

Cento di questi post

Il 1 giugno 2016 è iniziata la storia de La Versione di Giampy, l’ennesimo blog da non perdere. Il mio blog. Questo è il centesimo post, praticamente uno ogni tre giorni che, dato che la redazione è composta soltanto da me, da Giampiero e dal Taglia, tutte persone che stimo a giorni alterni, sono cose di cui vado molto soddisfatto.

Il filo conduttore di tutto quello che ho scritto in questi mesi è il mio approccio alla vita che, essendo io una persona piena di dubbi e di domande, è la totale assenza di verità rivelate. Sono soltanto opinioni e, come tali, sono del tutto opinabili.

Il più bel complimento che mi è stato fatto è: “ti leggo spesso ma non sono mica sempre d’accordo con te”. Meglio così. Cerco lettori, non seguaci. I seguaci li cercano i blogger seri. E io l’ultima volta che sono stato serio è stata quando sono passato a comunione.

Ecco qui sotto una piccola guida per muovervi tra le rubriche de La Versione di Giampy.

TAGLIATELLING:

tutto quello che riguarda il racconto di cose realmente accadute o moderatamente romanzate. Raccontate con un tono di voce ed un linguaggio politicamente scorretto e senza lesinare qualche parolaccia. Il post che vi è garbato di più di questa rubrica è: “Apologia della cattiveria”

#FAIL:

tutto ciò che parla dei miei fallimenti e dei miei passi falsi. Perché chi non capisce che cadere fa parte della vita, non troverà mai la forza di rialzarsi. Il post che vi è garbato di più di questa rubrica è: “Come difendersi da quel bullo che si chiama vita”

ASOCIAL NETWORK:

tutto ciò che riguarda i social, le loro distorsioni, le cose che fanno ridere e le persone che si incontrano girellando in queste nuove piazze. Il post che vi è garbato di più di questa rubrica è: “Mipiacisti: quelli che ti mettono like”

STORYTELL ME:

tutte le riflessioni che parlano di storytelling e del mio lavoro, di quanto mi piace e di quanto sia una sfida quotidiana continuare a farlo. Specialmente da quando tutti hanno deciso di potere dire qualsiasi cosa su qualsiasi cosa. Il post che vi è garbato di più di questa rubrica è: “Think dirty”: la regola dei benpensanti

 RADICI:

è la rubrica che amo di più. E anche voi, se Google Analytics dice la verità. Qui ci trovate tutto quello che parla di Siena, di Contrada, e delle Feriae Matricularum (i miei tre amori, non sempre corrisposti). Il post che vi è garbato di più di questa rubrica è: “Cinque modi per leggere il Palio, più le Sfumature”

DAR DI STOMACO:

una lettura della vita, osservata con gli occhi di un gran mangione. Il post che vi è garbato di più di questa rubrica è: “Ricetta per restare 20 anni con la stessa persona”

MONSTERS & CO:

personaggi spiacevoli e spregevoli dei nostri tempi. E, vi garantisco, ce ne sono tanti altri da raccontare. Il post che vi è garbato di più di questa rubrica è: “Il Paraculio”

 

Quando ho acceso i motori di questo blog venivo fuori da un periodo buio e scrivere è stata una bella terapia. Una bella catarsi fatta di battute, autoironia, cinismo, sarcasmo e malinconia. Grazie a quelli che hanno perso qualche minuto del loro tempo a leggere le mie cavolate, grazie a chi ha apprezzato, a chi ha criticato e a chi ha condiviso. Per chi scrive l’obiettivo non è cercare consenso o approvazione; per chi scrive l’obiettivo principale è scrivere. E quello è tutto quello che conta. Perché a uno come me scrivere fa sentire bene. Se vorrete continuare a leggere io sarò felice. Che poi alla fine la felicità sta nelle cose piccole. E più piccolo di un post della Versione di Giampy non c’è niente.

Cento di questi post, vi voglio bene. E questo lo dico seriamente.

 

L’immagine copertina è opera del fotografo Sacha Goldberger potete trovare altri suoi capolavori su sashagoldberg.com

happy family child baby girl in arms of his father

“Think dirty”: la regola dei malpensanti

Sono giorni grigi là fuori, giornate in cui i malpensanti si fregano le mani, salvo poi fregarsi con le proprie mani. Mi è venuta in mente una campagna che credo sia molto appropriata a questo momento in cui molti dovrebbero tornare all’asilo. E ripartire da lì.

Alcuni anni fa Hustler, la rivista erotica fondata da Larry Flynt per fare concorrenza al più noto magazine Playboy con immagini e articoli ancora più espliciti, lanciò una campagna geniale che mi fece molto riflettere e che fece il giro del mondo della comunicazione pubblicitaria.

Una multisoggetto, praticamente priva di qualsiasi intervento di grafica, con foto (nemmeno tanto belle) che raffiguravano normalissime situazioni di vita che, se guardate con l’occhio malizioso di chi conosceva il brand Hustler, potevano essere lette come situazioni ad alto contenuto erotico, o addirittura perverso. Il piccolo quadratino giallo in un angolo, che conteneva il titolo della campagna, diceva: “Hustler. Vedi il nome e pensi sporco.”

Geniale! Effettivamente anche io, guardando il pastore che trascinava la capretta o la ragazza che apriva la porta al ragazzo delle pizze, mi ero fatto in testa un film che avrei potuto pubblicare su Youporn. Provate però a stampare quelle foto e fatele vedere a un bambino, o a vostra nonna che, magari non sa che grazie ad Hustler gli oculisti di tutto il mondo hanno fatto i miliardi. Vedrete che vi diranno che si tratta semplicemente di una ragazza che sta ricevendo la pizza che aveva ordinato o di un pastore che fa il suo mestiere. Perché spesso la perversione risiede nel nostro modo di guardare le cose. E spesso, chi critica qualcosa bollandolo come “deviato” o “perverso”, è proprio lui l’albergo della devianza e della perversione.

“Pensare sporco” genera pensieri spazzatura. Teniamolo bene a mente nella vita di ogni giorno. Specialmente quando si parla di bambini, che sono quanto di più lontano ci possa essere dalla malizia e dalla morbosità.

Amen.

Ps. Ecco qui sotto i vari soggetti della campagna di Hustler

 

hustler

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L’immagine della testata è stata acquistata dall’archivio Getty Images.

Il correttore di buzze

E’ inutile nascondersi dietro ad un dito (anche perché non saprei come entrarci): sono ingrassato. Ne ho avuto la prova ieri quando ho parcheggiato la macchina accanto a un suv e per uscire ho dovuto chiamare un’ostetrica.
Il fatto è che ingrassare è parecchio più divertente che dimagrire. E questo è un dato di fatto. Il vero problema è che la maggior parte delle cose divertenti sono più facili se non sei un lottatore di sumo. A meno che tu non voglia fare il lottatore di sumo. In quel caso il sumo è una della cose divertenti da fare nella vita.
Purtroppo il mondo non è esattamente pensato per chi ha problemi di eccesso adiposo che, soltanto a dirlo, sembra qualcosa di schifoso.
Ci vorrebbe qualcuno che ti corregge come avviene quando stai per pubblicare un libro: un “correttore di buzze” che ti evidenzi su un pdf le cose che non vanno e te, con un semplice “seleziona e cancella” potresti risolvere i tuoi problemi di fiatone, ansia, stress, depressione, fame atavica, ipersudorazione, apnee notturne, calo della libido e impossibilità di legarsi le scarpe senza riprendere fiato tra l’una e l’altra.
Purtroppo il correttore di buzze non esiste. Dopo una bella discesa c’è sempre una brutta salita. Tocca rimettersi a dieta. Comincio lunedì. Forse.

tony manero

La febbre del sabato mattina

Vabbè, è ufficiale: sono vecchio.

C’ho provato a resistere, ho iniziato anche un altro album di figurine. Però non ho trovato nessun coetaneo che avesse i doppioni e l’ho lasciato a mezzo. Non c’è niente da fare, questi 40 anni si sentono. E più ti ostini a negarli e più si sentono. E specialmente nel fine settimana, capita di andare a dormire sentendosi John Travolta e svegliarsi come John Sconvolto.

Ho preso un Moment che mi si rinfaccia con un lieve bruciore allo stomaco, allora prendo un Maloox che mi rende la bocca amara e mangio un cucchiaio di miele che mi manda immediatamente al bagno. Non sono 40 anni, è una reazione a catena. Eppure avevo giurato che quando avrei avuto 40 anni non avrei fatto come tutti quei vecchi quarantenni che conosco. Quelli che il sabato stanno a casa e invitano altri quarantenni a giocare a Pictionary. Io non ci voglio giocare a Pictionary. Giocateci voi a Pictionary.

Ora lo sai che faccio? Vado su Ticketone è compro il primo concerto di Freddie Mercury che trovo. Ma perché Freddie Mercury non fa più concerti dal vivo, perdio! Mi fa male la testa. Ora mi sdraio e mi misuro la febbre. 37,9. Ah, ecco, non sono i quarant’anni, è la febbre. Grazie al cielo, pensavo di essere invecchiato. Mi alzo e mi faccio un brodo di dado. Poi lo butto via perché mi vergogno a mangiare il brodo di dado. In casa non ho niente ma ho la febbre gravissima e non posso uscire. Digiunerò. Impossibile. Devo farmi un teino. Quando sei malato il the diventa il “teino”, non ho mai capito perché. Giuro che il primo che mi invita a cena di venerdì e mi fa fare le tre e mezzo, lo denuncio. Non ce la faccio più, ho 40 anni suonati, cazzo! Lo dice anche la carta d’identità. Quasi quasi faccio finta di perderla.

Suona il telefono: “Sì? Come? Quando? Venerdì prossimo? Quanti siamo? Va bene!”
In fondo il Tony Manero che è in me non è ancora morto. Però c’ha la febbre.

ghost n' goblin

Quando giocavamo a nastro

Sono nato a metà degli anni ’70, giusto in tempo per ricevere per il sesto compleanno quel videogioco con due strisce che si rispediscono un quadrato che mi sembravano due tennisti disegnati da un pittore iperrealista. Due anni dopo arrivò il Vic 20, dopo altri due anni il Commodore 64. Non ho ancora capito perché i regali grossi arrivavano solo per i compleanni pari, forse i miei genitori erano rimasti attaccati all’austerity e alle targhe alterne. Boh?

Se Pokemon Go è l’omega, il Vic 20 e il Commodore 64 erano l’alfa. Due mondi separati da anni luce di distanza. Erano l’opposto del “mobile”. Solo il joystick, fallico amico di interminabili pomeriggi, era grosso e pesante come un portaombrelloni. E per giocare una partita dovevi infilare la cassetta. No, non c’era un log in da fare; c’era una cassetta. Simile a quelle che si infilavano nel mangianastri per sentire Bimbo Mix, Cristina D’Avena e Furia Cavallo del West. Se tutto andava bene dovevi aspettate una trentina di minuti prima di poter giocare. L’unica cosa vagamente somigliante ad una barra di scorrimento era un contatore numerico che girava con la stessa velocità di una giornata con la febbre a 37,2 senza televisione. E poi c’erano gli intoppi. Una volta su tre la cassetta o si inceppava, e allora dovevi ripartire da capo, o veniva risucchiata come uno spaghetto nella bocca del mangianastri. Noi sappiamo bene perché il mangianastri si chiama così.

E quei benedetti intoppi erano degli enormi incentivi ad uscire in una Siena che era ancora un meraviglioso campo da gioco e dove tutti i tuoi amici erano a portata di campanello. Le noie del Commodore mi sono costate molti strati di pelle di ginocchio, regalati agli spazzini del giorno dopo. Ma ora conosco più o meno tutti i senesi della mia età: i bulletti, gli sfigati, i miti assoluti, quelli che sapevano giocare a pallone, quelli che c’avevano sempre i doppioni, quelli che c’avevano la mamma bona, quelli che sputavano nel proprio panino per evitare il “morsino”.

Nell’era del videogioco “immobile”, Nascondino era più affascinante di Arkanoid e Buchetta ci rendeva più ricchi di Farmville. Di quel periodo ho tanti ricordi e pochi rimpianti, perché alla fine un bambino maschio nato a metà degli anni settanta era sempre goffo, mal vestito, mal pettinato e maleodorante. L’unico rimpianto che ho è quello di non aver mai restituito la cassetta con il gioco dove un guerriero coi baffi correva per ammazzare gli zombie. Me l’aveva prestata il mio amico Marco, della Pantera. Eravamo compagni di classe e, anche se una volta mi rubó la fidanzata, ci volevamo bene.  Lui internet non ce l’ha fatta a vederlo e di questo ho un grosso rimpianto.

Ora nessun dodicenne resterebbe trenta minuti ad aspettare di giocare ad un giochino con i pixel grossi come noci. Non starebbe ad osservare quel numerino che scorre lento. Oggi escono e restano chiusi dentro il loro telefonino e nessuno ha più i ginocchi sbucciati.

Parafrasando il Papa Buono: “Domani fate uno scherzo al vostro bambino. Mettetegli l’attak sotto il cellulare e appiccicatelo al comodino. E poi ditegli: esci a testa alta, questo è lo scherzo del Taglia”.

L’immagine è una schermata del gioco Ghost n’ Goblin per Commodore 64.

quercia

La Grande Quercia

La tremenda bellezza della natura. Il fragore e lo sconquasso di una quercia secolare che cade morta per il terreno che non la regge più. Tonnellate di legno sano che vengono giù trascinando con sé anche gli alberi più piccoli. Metafore della nostra vita che ci fanno capire che il tempo è un gran dottore ma anche un gran boia.

Grande Quercia,
Memoria della mia perduta giovinezza,
Che riparavi con le tue fronde
Una vecchia fornace di mattoni
Che proteggevi l’insoglio dei cinghiali
Che accorrevano a pasteggiare
Delle tue ghiande.
Sei venuta giù d’un tratto
Tra le risate fragorose delle tue sorelle.
Sei caduta come una Banca che non c’è più.
E ora che sei legna da ardere,
Io mi ricorderó delle scalate tra i tuoi rami.
Di quella casa sull’albero
Che avevamo progettato.
Sono caduto come te.
Ma io mi sono rialzato.
Non più ragazzo.
Mi sono rialzato Uomo.
Con i piedi piantati in un terreno fragile.
Pesante, caduto e dolorante.
Una quercia che non cade
Per un solo colpo d’ascia.
Una quercia, sai, non cade
Per un solo colpo d’ascia.