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L’Opinione e la Sentenza: in morte di Secondomé

In questo triste 2016 si è consumata una tragedia di cui nessun giornale parla: è venuto a mancare prematuramente Secondomé. E’ stata una morte improvvisa e violenta; si trovava sullo stesso pulmino di Pensoché, Credoché, Ammioavviso, Suppongoché. Sono finiti in un burrone e non c’è stato niente da fare. Se ne sono andati in silenzio nell’indifferenza di tutti. Si è salvato miracolosamente solo Massietesicuriché ma le sue condizioni sembrano disperate.
L’ultima volta che ho visto Secondomé era tra i commenti ad un’instagrammata di Belen. Poi la tragedia. Senza di loro se ne va l’opinione e resta la Sentenza, che tutti possono usare senza accettare repliche. La verità è diventata una. A testa. Ognuno ha la propria e non accetta che altri possano proporre una verità alternativa. Pare che sul pulmino ci fosse anche il berlusconiano Miconsenta. Con lui se ne va l’ultimo barlume di buona educazione di chi, prima di dire una cazzata, almeno chiedeva il permesso. Facebook è un enorme tavolino sul quale ognuno di noi sbatte il pugno. Il fatto è che lo facciamo tutti, tutti insieme, tutti i giorni. Sentenza ci guarda con gli occhi di ghiaccio e ci sbatacchia una verità assoluta in faccia per quel lunghissimo istante che leggiamo il suo post. E’ una certezza che non ammette repliche. E’ il tentativo di prendersi di forza una ragione che nessuno, nel mondo là fuori è disposto a darti così facilmente. E’ solo una dichiarazione di debolezza. Secondo me.

Il correttore di buzze

E’ inutile nascondersi dietro ad un dito (anche perché non saprei come entrarci): sono ingrassato. Ne ho avuto la prova ieri quando ho parcheggiato la macchina accanto a un suv e per uscire ho dovuto chiamare un’ostetrica.
Il fatto è che ingrassare è parecchio più divertente che dimagrire. E questo è un dato di fatto. Il vero problema è che la maggior parte delle cose divertenti sono più facili se non sei un lottatore di sumo. A meno che tu non voglia fare il lottatore di sumo. In quel caso il sumo è una della cose divertenti da fare nella vita.
Purtroppo il mondo non è esattamente pensato per chi ha problemi di eccesso adiposo che, soltanto a dirlo, sembra qualcosa di schifoso.
Ci vorrebbe qualcuno che ti corregge come avviene quando stai per pubblicare un libro: un “correttore di buzze” che ti evidenzi su un pdf le cose che non vanno e te, con un semplice “seleziona e cancella” potresti risolvere i tuoi problemi di fiatone, ansia, stress, depressione, fame atavica, ipersudorazione, apnee notturne, calo della libido e impossibilità di legarsi le scarpe senza riprendere fiato tra l’una e l’altra.
Purtroppo il correttore di buzze non esiste. Dopo una bella discesa c’è sempre una brutta salita. Tocca rimettersi a dieta. Comincio lunedì. Forse.

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Odor di presidenza

La realtà è evidente: c’è una cosa che inizia per P e che piace un po’ a tutti.

Il Potere, si intende.

E non è per il denaro, è proprio per il Potere.
Non vi fate gabbare: il Potere piaceva anche a Gandhi, a Madre Teresa e a Papa Wojtyla. E loro non erano proprio degli assatanati di sesso, diciamocelo.

E’ che se una persona manifesta contemporaneamente la sua immensa smania di scaldare una poltrona e contemporaneamente la sua immensa smania di accoppiarsi con chicchessia, per noi persone medie del primo ventennio degli anni 2000 non va bene. E ci spingiamo oltre: la seconda cosa per noi è molto più deprecabile.

Badate bene, il prurito sessuale, se esternato singolarmente da chi non ha velleità di candidatura può farcii diventare delle star. Prendete Valentina Nappi, o Madonna, o Miley Cyrus. Ma se un candidato si mette a cavallo di una palla per demolire palazzi oppure fa un video in cui lecca un martello, spalancati cielo. Non si fa!!!

Non ci piace un Presidente che ha le stesse manie di Bill Cosby ma ci accontentiamo di gente che non ha la minima idea di come uscire dalla crisi, di come far quadrare i conti, di dare precedenza ai giovani invece che alle lobby.

Non lo so, sono combattuto. Mi ero illuso che con il cambio del marchio del Gruppo Fiat in FCA, in parte avremmo superato questo problema ma evidentemente non è così. Ci hanno stordito con una campagna elettorale fatta di insulti. Ci hanno fatto credere fino all’ultimo che il candidato meno incline al “basta respirino” fosse quello migliore e abbiamo anche perdonato quel debosciato di suo marito, che abbiamo guardato con disprezzo per un paio di decenni dopo che aveva fatto uscire il merlo dalla gabbia in maniera del tutto impropria.

Ci siamo autoconvinti che il problema di Silvio fossero i rapporti avuti con Ruby e non quelli con Mangano. Ci hanno fatte vedere il dito invece della luna e vi assicuro che era il dito medio.

Abbiamo imparato che quella cosa che piace a tutti, noi non ce la possiamo permettere e che è meglio dirci #staisereno, il tuo momento non è esattamente #adesso. Ci siamo rassegnati, c’è anche chi è sceso in piazza mandando tutti a quel paese e ancora quella cosa che piace a tutti non l’abbiamo nemmeno annusata.

Non è il nostro turno, evidentemente.

Però oggi, con tutto quello che è successo in America ci viene una domanda: “Va bene! Niente Potere, ma almeno un po’ di fica???”

Stanotte ho capito perché siamo infelici: perché ci hanno insegnato che comandare è meglio che fottere.

E a noi, poveri mortali senza potere e poco attivi sessualmente, non resta che sfogarci con le solite masturbazioni mentali.

“Comandare è meglio che fottere. Ma anche fottere ha il suo perché!” (D. Trump, libera interpretazione)

Ps. L’immagine è uno scatto dell’opera “L’Origine del Mondo” di Gustave Courbet

Elogio della Bestemmia alla Toscana

Molto prima di “uscire a riveder le stelle” del Paradiso su RAI Uno, Benigni fu Cioni Mario: l’esempio forse più alto della poetica comica toscana insieme agli schiaffi alla stazione di Monicelli e a “dammi un bacino” di Nuti.
Gli amici burloni di Cioni Mario gli fanno uno scherzo: gli dicono che gli è morta la mamma. Che vuoi che sia.
Mario, zotico di un paese toscano non baciato dai flussi del turismo mordi un cono e scappa, con chi se la prende? Con gli amici? No. Se la prende con Nostro Signore o, quantomeno, con una sua parente stretta. Il regista Bertolucci lo inquadra con un carrello che lo segue di lato. Nel suo incedere per una stradina di campagna, snocciola una serie infinita di improperi che, visti di filato, ancora oggi non sembra possibile possano essere finiti dentro lo schermo di un cinema. Capolavoro.
Ma quello che molti non toscani stentano a capire è che quella sequenza non è comicità grottesca, è puro neorealismo.
La bestemmia in Toscana va scritta con la maiuscola perché la Bestemmia, in Toscana, non ha soltanto il valore dell’imprecazione. In Toscana, la Bestemmia è punteggiatura. E’ creatività. E’ perfino buona educazione.
“Vieni anche te stasera con noi?” “Certo, Dio #*+#!”
E’ partecipazione, è senso di appartenenza.
Ho visto anziani che si rivolgevano ad un tabernacolo dicendo, come se parlassero ad un condomino fastidioso: “Io non ce l’ho mica con te! Io ce l’ho con chi ti prega!”
Oppure il vecchio mezzadro che abitava vicino alla mia casa di campagna che, in piena era berlusconiana, aveva sostituito il nome di Dio con quello di Silvio, per potersi permettere di nominarlo invano senza grossi sensi di colpa. Vista la veneranda età non si sa mai. E se poi te la fa riscontare?
A Siena la Bestemmia si chiama “moccolo”. Mi sono sempre chiesto perché e alla fine mi sono dato una spiegazione: è perché quando ti scappa non c’è modo di trattenerla, come uno starnuto esplosivo con ciò che ne consegue. Altri dicono che il significato è l’antitesi del pio che si inginocchia davanti ad un altare con la candela accesa (il moccolo, appunto).
Ma la cosa più bella è quando sei amico di una persona devota, ti scappa lo starnuto e moccoli perché non ne puoi fare a meno. Quando ci vuole ci vuole. Poi ti rendi conto che con te c’è quell’anima pura che potrebbe essersi offesa e gli chiedi scusa, magari aggiungendo un altro moccolo, così senza volerlo. E più vai avanti e più peggiori la situazione fino a che non allarghi le braccia e spari il moccolo risolutivo che mette il punto in fondo al discorso.
Un giorno da un vinaio entrò una bella ragazza del nord Italia. Di certo non era veneta, altrimenti avrebbe capito. All’ennesimo improperio degli avventori si avvicinò all’oste e gli chiese: “Ma perché voi toscani bestemmiate così tanto?”
L’oste che stava asciugando un gottino con lo strofinaccio le puntò le palle degli occhi e dalle labbra violacee disse: “Signorina, forse è perché noi ci si crede.”

L’immagine è una foto del grande attore toscano Carlo Monni scattata da Niko Giovanni Coniglio

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I Clito Ridens (e l’Ossessione del Sessismo)

“Ahi, ahi ahi, Signora Longari; mi è caduta sull’uccello!” (Mike Buongiorno)

Grazie al cielo non devo votare in America. Sono sollevato di non dover uscire di casa e recarmi a prendere una scheda sulla quale mettere una croce che per me sarebbe comunque sbagliata. Già me lo fanno fare in Italia, di farlo anche negli Usa non ne avrei proprio voglia. Però, come tanti, mi interessa sapere chi vincerà, non fosse altro che per i film che mi toccherà vedere nei prossimi anni. Vorrei sapere chi dei due influenzerà di più Hollywood: Clint Eastwood o Will Smith? Mi piacerebbe sapere se il mio nemico nei prossimi dieci anni saranno gli Arabi o i Maori. Il diabete o la celiachia?

Chi l’avrebbe mai detto; la battuta d’arresto di Donnie non fu il muro contro i messicani, il sostegno della lobby delle armi, il terrore di un’invasione di Marte. La battuta di arresto per l’Ex Futuro Uomo Più Potente Del Mondo è una battuta sulla fica. Fuck off! Sei fuori!

Siamo un popolo di iene ridens che si cibano di nefandezze, siamo disposti a dare il voto a persone di cui non ci fideremo a lasciargli neanche il nostro ombrello ma ciò che ci indigna veramente sono le battute a sfondo sessuale. Siamo un popolo di “clito ridens”: da soli sghignazziamo sul nostro amico minidotato ma se in pubblico ci tocchi quel bottone, saltiamo sulla sedia.

Che ci vuoi fare, siamo quelli per cui in politica se “Ruby” (per questo ha la maiuscola) è più grave che se “rubi” (per questo ha la minuscola).

Il sesso passa immediatamente, buca lo schermo, è di facile comprensione. Per questo se dici: “il Candidato, nel 1973 era in tempesta ormonale e dichiarò che avrebbe trombato volentieri anche sua nonna”, risulta più deprecabile che “il Candidato ha dichiarato ieri che i Messicani sono tutti dei cani rognosi che vanno messi in una fossa comune”.

Se volete candidarvi adottate una strategia di comunicazione aggressiva, persino violenta in certi casi. Pensate le prime dieci oscenità che vi vengono in mente per denigrare poveri, immigrati e disabili, ditele e tutto sarà ok. Esprimetevi con iperboli che incitano all’odio e alla demolizione di chi non vi sostiene e salirete nei sondaggi. Pensate il peggio e raccontatelo; ma per carità, tenetevi alla larga dal sesso, altrimenti la vostra candidatura durerà quanto un’eiaculazione precoce.

Perché quello che conta, è che i clito ridens, non inizino a sghignazzare di voi. E che non pensino che anche voi avete la vostra Lewinski nell’armadio (che proprio uno scheletro non era).

Il sessismo è la nostra ossessione.
Ma forse è solo perché ci hanno abituati a fare solamente dei ragionamenti del cazzo.

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Il Paraculio

“A volte sono un bastardo e a volte un buono”, cantava il grande Iglesias Sr. Ecco, io oggi sono un bastardo. E voglio descrivervi il più viscido degli esemplari di essere umano: il “Paraculio”. Io lo chiamo così perché ha un sorriso sempre a 64 denti, proprio come il buon vecchio Julio. E come lui ha una grande capacità di sedurre gli sciocchi. Lo conoscete tutti, dovete solo dargli un nome proprio.

Il Paraculio è come i gatti, cade sempre da ritto e se fosse una fetta biscottata imburrata, state certi che non cadrebbe mai dalla parte del burro. Il burro gli serve piuttosto per farvi la festa, e spesso ve la fa anche senza burro.
Il Paraculio era il più viscido dei vostri compagni di classe, quello che non vi passava mai il compito, quello che per fare bella figura vi passava sopra. Ognuno di noi ha un suo Paraculio personale.
Il Paraculio ha sempre vissuto all’ombra di qualcuno più potente di lui e quando vi ha fatto una telefonata era senz’altro perché gli serviva qualcosa da parte vostra.
Il Paraculio fa sempre buon viso a cattivo gioco e ve lo ritroverete nel mezzo per tutta la vita. Sarà quello che vi inviterà al proprio matrimonio perché gli conviene, al battesimo di suo figlio perché gli fate comodo. E quando voi cadrete in disgrazia, e voi lo farete dalla parte imburrata, statene certi, il Paraculio si dimenticherà di aver salvato il vostro numero in rubrica.
Quando il Paraculio sarà ad una cena e qualcuno parlerà di voi, negherà di aver fatto finta di esservi amico e lo farà anche prima che canti il gallo. “Sì, lo conosco di vista…”
Il Paraculio farà carriera, voi no.
Il Paraculio troverà i pertugi da cui passare, perché quando si sguiscia ci si infila dappertutto.
Il Paraculio lo troverete ad attendervi con la corona di fiori hawaiana, quando sarete riusciti a rialzarvi, e penserà di avere nuovamente bisogno di voi.
E’ in quel preciso momento che voi, con tutte le vostre forze, dovrete sfoderare il più luminoso dei vostri: “Telovappigliannelculo!”. Poi lo guarderete negli occhi e con una pacca sulla spalla gli direte: “Addio, caro.”

E vi sentirete le persone più felici dell’universo.

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Il Genio del Marketing

C’è una nuova moda, che forse è sempre stata di moda: è quella ci pararsi il culo prendendo le distanze dalla comunicazione; specialmente in politica, specialmente in Italia. E provincia.

Come se la comunicazione fosse la mela del peccato dalla quale tenersi attentamente alla larga. Per me, che la vivo come un lavoro e come una passione, la comunicazione non è la mela del peccato. per me la comunicazione è una mela e basta. E’ colui che la maneggia che può decidere, più o meno volontariamente, di farla diventare la mela di Steve Jobs, quella dei Beatles, una bellissima torta appena sfornata, o la mela avvelenata della strega di Biancaneve. La comunicazione è come un coltello, puoi usarla per tagliare una fetta di pane o per tagliare una gola.

Questo non tutti lo hanno capito, ma tutti hanno capito che la comunicazione funziona e quindi, se si vuole arrivare da qualche parte, la si deve utilizzare.  Con l’accortezza, una volta arrivati a destinazione, di prenderne accuratamente le distanze.

Ieri ho sentito un Presidente del Consiglio di uno Stato dirimpettaio della Libia che diceva: “Questa legge non me l’hanno suggerita mica i geni del marketing…”; con quel disprezzo sottinteso riversato all’improvviso nei confronti di chi ti ha organizzato il Giro d’Italia in camper, settecento Leopolde, quattromila dimissioni e che “ADESSO” tratti come il tuo ex maglione preferito che usi per spolverare.
Oppure ho sentito quel saltimbanco tarantolato che ha fatto fortuna con un blog, che accusa i suoi avversari di sparare fango attraverso i social, su una giunta che non c’è. O anche quell’unno con le felpe geolocalizzate che si lamenta perché su facebook la gente condivide e commenta le sue sparate che sembrano delle gare di rutti.

Di persone che fanno comunicazione di mestiere ne conosco molte, alcune mi stanno molto simpatiche, altre meno, come penso che accada anche tra gli avvocati, tra i medici e tra i calciatori. Alcuni li reputo molto bravi e altri meno come penso che accada anche tra gli avvocati, tra i medici e tra i calciatori. Ma non ho mai pensato che qualcuno di loro fosse un “genio del marketing”. L’unico genio del marketing che conosco è Mastro Lindo: perché è effettivamente un genio e perché fa vendere vagonate di un prodotto come tanti altri da oltre 50 anni.

Perché dico questo? Perché noi che facciamo un lavoro che ancora è considerato un passatempo, spesso pagato poco e male, che si deve svolgere di fronte a clienti che pensano, comunque, di essere più titolati di noi a parlare. Ecco, non credo che uno che fa questo lavoro abbia l’ambizione di essere considerato un “genio”. Gli basterebbe essere considerato un professionista.

Vabbè, è troppo difficile da spiegare. Torno dentro la lampada, vai.

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Quando giocavamo a nastro

Sono nato a metà degli anni ’70, giusto in tempo per ricevere per il sesto compleanno quel videogioco con due strisce che si rispediscono un quadrato che mi sembravano due tennisti disegnati da un pittore iperrealista. Due anni dopo arrivò il Vic 20, dopo altri due anni il Commodore 64. Non ho ancora capito perché i regali grossi arrivavano solo per i compleanni pari, forse i miei genitori erano rimasti attaccati all’austerity e alle targhe alterne. Boh?

Se Pokemon Go è l’omega, il Vic 20 e il Commodore 64 erano l’alfa. Due mondi separati da anni luce di distanza. Erano l’opposto del “mobile”. Solo il joystick, fallico amico di interminabili pomeriggi, era grosso e pesante come un portaombrelloni. E per giocare una partita dovevi infilare la cassetta. No, non c’era un log in da fare; c’era una cassetta. Simile a quelle che si infilavano nel mangianastri per sentire Bimbo Mix, Cristina D’Avena e Furia Cavallo del West. Se tutto andava bene dovevi aspettate una trentina di minuti prima di poter giocare. L’unica cosa vagamente somigliante ad una barra di scorrimento era un contatore numerico che girava con la stessa velocità di una giornata con la febbre a 37,2 senza televisione. E poi c’erano gli intoppi. Una volta su tre la cassetta o si inceppava, e allora dovevi ripartire da capo, o veniva risucchiata come uno spaghetto nella bocca del mangianastri. Noi sappiamo bene perché il mangianastri si chiama così.

E quei benedetti intoppi erano degli enormi incentivi ad uscire in una Siena che era ancora un meraviglioso campo da gioco e dove tutti i tuoi amici erano a portata di campanello. Le noie del Commodore mi sono costate molti strati di pelle di ginocchio, regalati agli spazzini del giorno dopo. Ma ora conosco più o meno tutti i senesi della mia età: i bulletti, gli sfigati, i miti assoluti, quelli che sapevano giocare a pallone, quelli che c’avevano sempre i doppioni, quelli che c’avevano la mamma bona, quelli che sputavano nel proprio panino per evitare il “morsino”.

Nell’era del videogioco “immobile”, Nascondino era più affascinante di Arkanoid e Buchetta ci rendeva più ricchi di Farmville. Di quel periodo ho tanti ricordi e pochi rimpianti, perché alla fine un bambino maschio nato a metà degli anni settanta era sempre goffo, mal vestito, mal pettinato e maleodorante. L’unico rimpianto che ho è quello di non aver mai restituito la cassetta con il gioco dove un guerriero coi baffi correva per ammazzare gli zombie. Me l’aveva prestata il mio amico Marco, della Pantera. Eravamo compagni di classe e, anche se una volta mi rubó la fidanzata, ci volevamo bene.  Lui internet non ce l’ha fatta a vederlo e di questo ho un grosso rimpianto.

Ora nessun dodicenne resterebbe trenta minuti ad aspettare di giocare ad un giochino con i pixel grossi come noci. Non starebbe ad osservare quel numerino che scorre lento. Oggi escono e restano chiusi dentro il loro telefonino e nessuno ha più i ginocchi sbucciati.

Parafrasando il Papa Buono: “Domani fate uno scherzo al vostro bambino. Mettetegli l’attak sotto il cellulare e appiccicatelo al comodino. E poi ditegli: esci a testa alta, questo è lo scherzo del Taglia”.

L’immagine è una schermata del gioco Ghost n’ Goblin per Commodore 64.

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Non ho niente da mettermi

Convivere con qualcuno è estremamente difficile, specialmente se quel qualcuno è la tua compagna. La conquista di uno spazio vitale all’interno di cassettiere e armadi è per me ormai perduta. Avevamo iniziato come due persone moderate di sinistra dove maschio e femmina hanno medesimi diritti e medesimi doveri. Per cui tre cassetti a me e tre a lei. L’armadio diviso anche quello 50 e 50. Ok così, avanti tutta per i primi tre giorni. Fino a quando un paio di magliette sportive non sono finite nel mio cassetto. Da quel momento è iniziata una partita di Risiko dove lei credo abbia pescato come obiettivo: “Annienta il guardaroba di Giampy”. Sono stato attaccato da 6.000 carrarmatini e quando ho buttato i dadi ho fatto due. Per cui nel giro di pochi anni ho dovuto abdicare dalla piccola cabina armadio ricavata in uno sgabuzzino, ho consegnato due dei miei tre cassetti e, fino a che non mi sono inginocchiato davanti all’Ikea supplicando di darmi dei pezzi di un armadio per me, ho dovuto parcheggiare magliette e camicie sul divano. Armadio Ikea montato, anche se storto, e problema risolto, se non fosse che per fare spazio ai suoi vestiti, nel mio armadio sono entrate: lenzuola, coprilenzuola, federe, cuscini di riserva, salviette, teli da mare, aspirapolvere, scope, cassette dei medicinali, cassette degli attrezzi e il trapano (che tanto è l’armadio di un uomo).
Stamani, mentre mi stavo legando le scarpe, lei entra, mi guarda come se fossi quello che ha buttato giù le Torri Gemelle e mi dice: “Non so se hai visto che non ho niente da mettermi!”.

Mi sono rassegnato all’evidenza che i suoi abiti si dividono in:

  • Quelli preferiti
  • Quelli comprati in un attimo di acquisto compulsivo
  • Quelli che hanno ancora il cartellino
  • Quelli che può prestare
  • Quelli che non deve prestare
  • Quelli quelli che non metterà mai
  • Quelli che si mette se ingrassa di 12 grammi
  • Quelli che si metta il 29 febbraio quando cade di sabato
  • Quelli che lascerà ai suoi nipoti
  • Quelli che prevede di mettersi prima o poi
  • Quelli dalle 8.00 alle 14.00
  • Quelli dalle 14.01 alle 19.59
  • Quelli dopo le 20.00
  • Quelli per casa
  • Quelli per campagna
  • Quelli per la montagna
  • Quelli per il Deserto dei Tartari.

E tutti questi sottoinsiemi rientrano in un grande insieme che sono. “Quelli che non mi bastano”.

I miei 15 straccetti si dividono, invece in:

  • Quelli che mi entrano
  • Quelli che mi entravano

Spero stasera di ritrovarli ancora al loro posto, se mai ci sia ancora un posto.

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I Potenti, Quelli che vogliono diventare potenti e i Trombati

Il mio intervento su Potenti e affini in occasione del settantesimo anniversario dell’Operetta “Il Trionfo dell’Odore” scritta da Mario Verdone.

SIENA, 3 marzo 2015

Scusate, volevo andare a Braccio ma alla rotonda di Fontebecci c’era un ingorgo, sicché ho scritto tre paginette.

Perdonatemi le volgarità eventuali.

Per scrivere un’operetta non basta essere bravi a scrivere. Per scrivere un’operetta bisogna avere due caratteristiche: essere studenti ed essere goliardi. Essere studenti è abbastanza facile; la cosa difficile è l’altra, perché ci devi essere portato, un po’ di talento naturale ce lo devi avere. Quando
cominciai a fare le Feriae, il Principe di allora mi disse: “Te saresti quello bravo a scrivere? Ecco, domani ci si trova, porta una scena.
Ambientazione: far west”. Io secondo voi portai una scena? Noooo, portai tutto il primo atto. Lo scrissi in una notte, di corsa. E correvo, correvo, correvo…fino a quando non arrivai…alla lettura del mio capolavoro davanti agli anziani. C’ero io, il regista Carlino Castellani, il Principe Mao
Garosi, quattro o cinque pluribollati e l’aiuto regista: una figura epica, Giorgino il De Sanctis che mi guardava, come se fossi un marziano, con in bocca una sigaretta finissima che fumava senza mai sgrullare la cenere.
Inizio a leggere e, solo nel primo atto, metto 37 cambi di scena, compresa una vista aerea del villaggio Sioux (e ancora non avevano inventato i droni per tutti). Alzo gli occhi dal copione e vedo un Giorgino basito, che mi fissa dietro una coltre di fumo con la cenere che gli era caduta disperata sulla pancia. Mi guarda, mi lancia addosso un bestemmione e fa: “Tagliatella, ma te vuoi fare l’operetta o il cinema???”.
Del mio primo atto andò in scena solo il titolo: “Phicauntas”. Quello piacque.
Allora, come deve essere un’operetta per evitare le cartate dai dottori e dal pubblico? E di cosa deve parlare? Sono auspicabili i motti arguti e le battute costruite con intelligenza, tipo
“Sopra NOI capre la Banca campa, sotto UNA capra la banca crepa”.
Però ci sta che non faccia ridere, sapete, il pubblico è un po’ macchinoso.

Quindi se le battute difficili non vi riescono, saltuariamente è consentitoricorrere a doppi sensi, anche licenziosi, tipo: “Dov’é la principessa?” “Sire, la Principessa è sul pisello!”.
Oppure potete fare uso della gestualità corporea, tipo: “Con quante sei andato mentre eri in Erasmus?” (Agitando la mano come per dire “insomma”) “Sei???!!!” “No, quasi una!”
L’operetta che va in scena a maggio, viene scritta fin da settembre dell’anno prima, e passa una serie di vagli, di tagli e di revisioni fatti durante cene e libagioni con i più anziani. Durante la prima lettura c’è sempre uno che viene invitato per rappresentare lo spettatore medio (all’epoca mia si chiamava Provenzano); ecco, se ride lui vuol dire che il teatro riderà. Di solito la sua risata è questa (faccio la risata di Provenzano) e poi alla fine della risata, ti spiega anche la battuta…che hai scritto te.
Lo spettatore medio ride a delle cose di cui non riesci a darti una spiegazione, tipo: “Alabarda spazialeeee!!!” o “Sono il Paguro. Avvicino la testa al culo, quando ho pagura.“ Queste fecero ridere, ve lo giuro, ma non ho mai capito il perché.

Poi, quando vai in scena ci sono delle variabili umane impreviste tipo l’”attore che non ci mette mano” o il “goliardo anziano ingestibile”.
L’attore che non ci mette mano è quello che: o non impara il copione, oppure impara anche le parti che spiegano la parte. Mi ricordo di una volta in cui un mio paribollo, che per rispetto chiameremo con un nome di fantasia, Rotolone, imparò la sua battuta così: “Quanto prese all’esame? Diciotto. Diciotto coltellate gli piantò nel cuore. Guarda l’orologio ed esclama. E’
tardi. Esce di scena correndo.” Nooo Rotolo, quello tra parentesi non lo devi dire…..
Oppure il goliardo ingestibile. Era il ’97 e sul proscenio dovevo stare nascosto dentro un barile e uscire fuori alla fine di una scena di gruppo in cui recitavano studenti che avevano da 9 bolli in su. Tra loro c’era un goliardo che, per garantire la sua privacy, chiamerò con un nome generico, Pippo.
Quel pomeriggio Pippo aveva un pochino straviziato; tirando su lo sguardo lo vidi comparire da sopra alla botte che mi guardava chiedendomi: ”Che devo di?”. Io gli suggerii la sua battuta e lui: “Non ho capitooo!!!!” Cominciò a scuotere il barile rischiando di farmi rotolare sull’orchestra. Io uscii fuori dalla botte tipo Arlecchino con un “Eccomi qua” che strappò anche un applauso.
Il problema fu proseguire. Pippo fu portato fuori e a un vigile del fuoco di turno dietro le quinte disse: “Pompiere, sigaretta” E lui: “Guardi che sono qui proprio perché non si può fumare” “Accesa!” Il vigile del fuoco non se la sentì di contraddirlo, prese il proprio pacchetto, accese una sigaretta, e la porse a Pippo, che proseguì felice la sua serata al bar.
Di variabili impazzite ce ne sono diverse ma quando scrivi un’operetta devi essere un po’ coraggioso e tenere sempre presente che l’operetta deveprendere di mira e deridere chicchessia ma principalmente tre categorie di esseri umani: i potenti, quelli che vogliono diventare potenti e i trombati.
“I potenti” sono l’obiettivo principale, è ovvio che al Goliardo restino un pochino sulle palle. Sono quelli che possono NON FARTI FARE qualcosa che vorresti fare o che possono dirti COME lo devi fare:

Chi sono?

I professori che POSSONO decidere il tuo voto
i vigili e le guardie che POSSONO farti la multa,
i dottori polemici che POSSONO rovinarti una serata a bollore,
i medici che POSSONO leggere le tue analisi del sangue,
i dietologi (io li odio proprio) che POSSONO dirti quanto e soprattutto cosa mangiare e bere,
i banchieri che POSSONO decidere se avrai o non avrai il mutuo
il Rettore che PUO’ decidere come va la tua Università,
il Sindaco e gli assessori che POSSONO stabilire come va la tua Città,
i presidenti di qualsiasi cosa che POSSONO comandarti, metterti le tasse, cambiare le carte in tavola,
i preti e gli arcivescovi che POSSONO farti venire i sensi di colpa,
il Papa che PUO’ chiacchierare tutte le domeniche,
il Papa Emerito che PUO’ dire “sono stato Papa…e sono ancora vivo!!!”
e infine, più potente di tutti e per questo da prendere in giro più di tutti, la Morte, che PUO’ toglierti la parola quando gli pare.

Poi ci sono “quelli che sperano di diventare potenti” sembrano ganzissimi, ti promettono che domani ti alzerai bello, ricco e senza occhiaie, che il mondo sarà come lo vuoi te, che quando ci saranno loro vedrai che libidine.
E il problema è che ci credi! Chi sono? Oltre a Lucignolo e a tanti venditori di fumo, ci sono i lecchini e i lacchè, i portaborse, gli assistenti, i candidati a tutto, i giornalisti che non fanno le domande e tutti quelli che conoscete che per non rischiare di cascare strisciano.
Infine ci sono “i trombati” sono tutti gli “ex qualcosa”. Tutti, tranne l’Ex Sindaco di Firenze che va messo nella prima categoria.
Sono quelli che hanno toccato il fiocco dei calci in culo, magari l’hanno anche preso, ma mentre la giostra girava, gli è cascato di mano. Ecco, quelli sono pericolosi, perché continuano a rimuginarci. “Eppure l’avevo preso, potevo fare un altro giro a sbafo, accidenti a quello dietro che mi pintava, questo giro non vale, ora sento se mi rifanno montare…”. Queste sono le tre categorie che chi scrive un’operetta dovrebbe mettere sempre tra i personaggi. Non potete capire quanto, per un ragazzo di 20 anni sia bello scrivere per il teatro goliardico. In quel momento pensi che te nella vita non potrai mai diventare come qualcuno di quelli che metti alla berlina. E
questa è un’illusione meravigliosa.

La Goliardia è meravigliosa. E ha una mamma ancora più bella di lei. È una signora di una certa età ma è sempre discreta, una milfona, insomma. E si chiama Libertà. Piace a tutti eh, ma fa paura, mette soggezione. Perché come scrisse il grande Roby Ricci, la Libertà è un cavallo che scalpita. E per un Goliardo, che si diverte a prendersi gioco di potenti, aspiranti potenti e
trombati, quel cavallo continua a correre fino a che la Morte, la più potente tra i potenti, non decide che le tue battute le sono venute a noia.
Quello che possiamo fare è continuare a tramandarci, per fare in modo che ci sia sempre qualcuno dopo di te capace di far correre quel cavallo. Perché nessuno è eterno, nessuno viene risparmiato.

NEMINI PARCETUR.
GAUDEAMUS.

Foto di Mario Llorca. Per vedere i suoi lavori mariollorca.com

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