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Il Palio “attaccato”

Nel 2000 mi sono laureato in Scienze della Comunicazione all’Università di Siena con una tesi dal titolo “Il Palio Attaccato” (relatore Maurizio Boldrini, correlatore Omar Calabrese).  A Siena “attaccare il Palio” significa averlo vinto e appeso a una delle pareti del proprio Museo di Contrada. Ma vuol dire anche scatenarsi dall’esterno contro la Festa, con la volontà di screditarla e danneggiarla. Sono passati quasi 20 anni da quel mio studio che provava a capire e dare un senso al perché molti ce l’abbiano con noi. Se avete voglia, vi lascio qui sotto un brano di quel lavoro che in questi giorni sono andato a rileggermi con piacere.

IL “DENTRO” ED IL “FUORI”

Il Palio ha due prospettive dalle quali può essere guardato e vissuto: il “dentro” ed il “fuori”.  Una visione profonda, contrapposta ad una visione superficiale della Festa e dei suoi significati.

Prima di andare ad esaminare i due gruppi contrapposti nel dibattito riguardante la morte dei cavalli nel Palio, ognuno dei quali fa propria una delle due prospettive (difensori del Palio/dentro vs detrattori del Palio/fuori), vale la pena di soffermarsi ad analizzare il Palio stesso nella sua essenza. Da qui si troveranno, poi, svariate attinenze che serviranno a capire meglio le cause sia degli attacchi che della difesa del Palio. 

In ognuna delle scadenze e dei rituali della Festa senese, domina la coppia oppositiva dentro/fuori. Il Palio è una manifestazione che si svolge essenzialmente all’aperto, tuttavia, le fasi più salienti ed importanti di essa trovano la loro conclusione all’interno, in luoghi chiusi. La carriera stessa, le prove, il Corteo Storico, sono tutti elementi della Festa che trovano la loro espressione e il loro svolgimento di fronte a tutta la cittadinanza, sono le parti conclusive di svariati procedimenti che hanno, però, una preparazione ben più complessa. Questa preparazione si svolge, appunto, al chiuso, di fronte a pochi, se non pochissimi attori. 

Tutte le pratiche di estrazione e di selezione legate alla sorte, vengono effettuate all’interno dei locali del Palazzo Comunale in presenza esclusiva dei Capitani e del Sindaco: l’estrazione delle Contrade e la scelta dei dieci cavalli che lo correranno. Per quanto riguarda l’assegnazione dei cavalli, essa viene effettuata in Piazza del Campo di fronte ai popoli delle varie Contrade ma, Sindaco e Capitani, si trovano su di un palco ben racchiuso da ringhiere e dietro ad una staccionata che nessuno può scavalcare: la fortuna è dentro ad una gabbia che nessuno che non sia autorizzato può aprire. 

Questi elementi servono a testimoniare il fatto che il Palio è una Festa che trova la maggior parte del suo svolgimento all’interno; fatto che, se a prima vista può sembrare del tutto irrilevante, in realtà assume una valenza semantica notevole per poter capire il motivo di come mai la popolazione senese sia così restia ad accettare un confronto con chi, dall’esterno, voglia interferire con lo svolgimento del Palio.

Anche la scelta della Piazza del Campo come luogo deputato ad ospitare la corsa non è del tutto casuale. Il Campo, oltre ad essere la piazza più grande della Città, assume anche, per la sua forma e per la sua posizione, un significato particolare che non deve essere sottovalutato. La forma della pista è per lo più trapezoidale ma, per comodità interpretativa, la definiremo circolare. Questo significa che, in essa, inizio e fine coincidono e si sovrappongono. Il Palio non è altro che un ritorno. Un ritorno che si ripete per tre volte consecutive nello stesso punto della Piazza e un ritorno che si ripete per due volte ogni anno nello stesso punto della Città. Per esattezza, nel centro della Città. Al momento del Palio, Siena implode verso il suo punto più interno cercando di andare ad interiorizzare una tradizione e un rituale che è proprio della parte più profonda e antica della Città stessa.

“Il punto focale della corsa è dunque per intero proprio nel centro della Città, che è, per definizione, il punto più lontano dal mondo circostante” (Alessandro Falassi e Alan Dundes; La Terra in Piazza 1975).

Questa è la vera essenza del Palio alla Tonda che viene corso in presenza dei cittadini senesi nel punto più distante dalla non-senesità. E’ anche per questo che molti senesi non vedono di buon occhio la presenza di telecamere (e telefonini) che veicolano le immagini del Palio al di “fuori”.

La dicotomia dentro/fuori si esplica anche nella platea di spettatori che assiste al Palio. Gli spettatori nella Piazza si trovano racchiusi all’interno di essa dal momento che la pista viene delimitata con una serie di “steccati” che la separano dal luogo in cui si trova la folla. Il pubblico può anche guardare la corsa dai “palchi”, una serie di gradinate posticce di legno che vengono disposte intorno alla pista nei giorni precedenti al Palio.

In questo modo, sia chi si trova all’interno della Piazza, sia chi rimane sui palchi, non ha la possibilità di interferire con l’esito della corsa. La corsa è il “dentro” e il pubblico è il “fuori”. 

Nel momento in cui viene chiusa l’ultima entrata alla Piazza prima del Palio, nessuno potrà entrare o uscire dal Campo fino a dopo la corsa.

Tutti questi elementi confermano e avvalorano l’ipotesi che anche nell’interpretazione di tutta la Festa ci possano essere due punti di osservazione: uno interno e uno esterno.

Il punto di vista interno è quello di coloro che, pur non essendo necessariamente senesi, sono entrati in profondità nello spirito del Palio e hanno cercato di comprenderlo in ognuna delle sue innumerevoli sfaccettature.

Il punto di vista esterno, invece, è quello di coloro che, non essendo entrati in contatto con la vita e con il substrato culturale che fa da humus per tutta la Festa, hanno mantenuto una visione essenzialmente superficiale di essa. 

Tra i due modi di vedere il Palio non può che esserci incomprensione e scontro. I due gruppi vanno quindi a formare due realtà ben distinte tra loro. Non è azzardato arrivare a definirli “due culture altre”.

Dallo scontro di due culture altre è frequente il verificarsi la nascita di pregiudizi e stereotipi che non fanno altro che aumentare il rischio di un vero e proprio conflitto tra i due gruppi.

“Da un punto di vista etimologico il termine pregiudizio indica un giudizio precedente all’esperienza, vale a dire un giudizio espresso in assenza di dati sufficienti. Proprio per tale carenza di validazione empirica, il pre-giudizio viene di solito considerato anche come un giudizio errato” (Bruno Mazzara; Stereotipi e pregiudizi, 1997).

Non conoscere la cultura dell’altro, come avviene nel caso di una visione fugace del Palio di Siena che si può trovare in rete o in tv, porta ad attribuire dei giudizi derivati da preconcetti che, nella maggior parte dei casi si rivelano errati. Ma non sono soltanto i pregiudizi negativi a danneggiare la correttezza dell’interpretazione della Festa, anche da parte di coloro che hanno una visione interna, e quindi ben più profonda, di quelle che sono le chiavi interpretative della manifestazione, si possono scatenare dei pregiudizi positivi che danneggiano l’immagine del Palio.

“Forse i pregiudizi positivi sono altrettanto numerosi e forti di quelli negativi, d’altro canto il pregiudizio negativo è spesso complementare a un pregiudizio positivo nel senso che, ad esempio, la considerazione negativa di gruppi diversi dal proprio si basa su una considerazione esageratamente positiva di quello al quale si appartiene” (Bruno Mazzara; Stereotipi e pregiudizi, 1997).

Questo porta, senz’altro, ad avere una visione distorta di quella che è la realtà. L’autoesaltazione e il convincimento che “tanto s’ha ragione noi” non può fare altro che minare l’immagine di una manifestazione che, già di per sé, corre dei pesanti rischi da un punto di vista di proiezione della propria essenza al di fuori della Città.

SIENA E IL MONDO. DUE REALTA’ UGUALI E DISTINTE.

La città di Siena è perfettamente integrata all’interno di una realtà sociale come quella italiana. A dimostrazione di questo si può portare, come elemento provante, il fatto che Siena si è più volte distinta tra le altre provincie d’Italia classificandosi ai primi posti per quanto riguarda la qualità della vita, nelle statistiche stilate dai principali quotidiani economici nazionali (Il Sole 24 Ore, Italia Oggi). Nonostante questo, tuttavia, all’interno della Città si viene a creare, durante i giorni del Palio, un “non-mondo” o, per meglio dire, un “mondo altro” rispetto a quello che investe i ritmi della vita senese di tutto l’anno. Le strade assumono dimensioni diverse e diversi significati rispetto a quelli assunti normalmente. Le vie diventano linee di demarcazione di territori invalicabili. Il confine assume una valenza precisa. Siena si trasforma, in questo modo, in uno spettacolare campo di battaglia, o forse sarebbe più giusto dire in una scacchiera, sulla quale gli stessi senesi assumono al tempo stesso il ruolo di pedine e di giocatori di questo grande gioco che si sovrappone alla vita di tutti i giorni. Il medico, l’impiegato di banca, lo studente, diventano improvvisamente il Capitano, il Mangino, il Barbaresco.  O sarebbe più giusto dire, lo sono sempre stati nel corso dell’anno, ma hanno finto di non esserlo recitando la parte di persone che vivono in una società perfettamente integrata con il contesto sociale del Paese. Il Palio si delinea quindi come uno straordinario “gioco di ruolo” nel quale è impossibile spogliarsi completamente dei panni del contradaiolo. La Contrada è un’appartenenza, è inscritta nel patrimonio genetico di un senese e non si può fare niente per sottrarvisi. Uno sguardo sul Palio non può considerarsi approfondito se non parte dall’analisi di queste premesse. 

Non è detto, tuttavia, che soltanto chi è nato a Siena e che ha vissuto la Contrada fino dal momento della nascita possa comprendere e condividere lo spirito del Palio. Uno spirito che non si esplica solamente durante i giorni della Festa ma che pervade la Città in ogni stagione dell’anno.

Avvicinarsi alla cultura paliesca e senese è come avvicinarsi ad una cultura completamente anomala rispetto al modo di pensare che caratterizza la società italiana, e occidentale in genere. Per questo motivo mi sembra possibile fare un raffronto con alcune teorie antropologiche che prendono in esame il problema dell’alterità tra due culture diverse tra loro. 

Per chi guarda il Palio dal “di fuori” esistono due modi per accostarsi all’universo della cultura senese di cui il Palio è l’espressione più evidente: il “giro lungo” e il “giro breve” (Francesco Remotti; Noi primitivi, 1990).

Il giro breve: è un contatto fugace e superficiale con la cultura altra. In questo tipo di contatto l’osservatore si limita a prendere in esame gli elementi più facilmente individuabili della cultura diversa dalla propria tralasciandone i significati profondi. Da questo tipo di rapporto scaturiscono, solitamente, pregiudizi e intolleranze tra due culture che non fanno niente per capirsi vicendevolmente. (es. “E’ morto un cavallo, allora i senesi devono per forza essere degli assassini che maltrattano gli animali”)

 Il giro lungo: è un contatto profondo con l’altra cultura. In esso il visitatore abbandona i giudizi a priori sull’altro cercando di addentrarsi in quelli che sono i significati nascosti dietro ai gesti più semplici e banali che un appartenente all’altra cultura compie. In questo modo il visitatore ha modo di osservare e comprendere in profondità l’altra cultura. Da questa comprensione derivano due vantaggi: a) l’osservatore ripensa se stesso e la propria cultura; b) l’osservatore arricchisce la cultura altra con giudizi critici e non stereotipati su di essa. 

La brevità o la lunghezza del “giro” compiuto dall’osservatore del Palio, non deve essere intesa da un punto di vista strettamente quantitativo: non si misura in giorni, ore o minuti. Non è la durata temporale di un viaggio, infatti, che ne determina la profondità e la ricchezza culturale (sebbene la durata della permanenza possa aiutare a rendere più approfondita la conoscenza di una cultura diversa dalla propria); la lunghezza del giro riguarda, piuttosto, la conoscenza che si desidera approfondire di un evento o di una manifestazione, di cosa c’è “dentro”. 

Che è molto più, anche se sembra impossibile, di quello che si può vedere restando soltanto un minuto e mezzo a guardare quello che si vede “fuori”, magari attraverso una ripresa rubata con un telefonino.

ciliegie

Le ciliegie e gli uccelli migratori

Non avendo alcun talento nello sport, il mio sport preferito è sempre stato quello di cercare metafore universali nelle piccole immagini del quotidiano. Passeggiando intorno agli alberi della casa in campagna, mi sono messo ad osservare il ciliegio, bello carico di bacche ancora verdi. Ho pensato ad alta voce: “quest’anno ne ha fatte una marea”. Mia madre ha subito stroncato il mio ottimismo, “dipende da quante ce ne lasceranno gli uccelli”.
Sì, perché ogni anno in questa stagione si combatte una battaglia senza esclusione di colpi (ma senza sparare) tra i miei genitori e stormi di merli, passeri, storni e pettirossi. Credo che Hitchcock si sia ispirato al mio orto quando ha girato “Gli uccelli”.
In questa lotta ci ho rivisto la vanità di chi affronta il tema dell’immigrazione con l’illusione di poterlo gestire e controllare a proprio uso e consumo, come se, solo per il fatto di essere nati qui, fossimo noi i padroni del ciliegio.

Ho quindi elaborato una serie di proposte per risolvere una volta per tutte la questione:

1. Partendo dal dato di fatto che il ciliegio è nostro, lo dice il catasto, chi vorrà mangiare le nostre ciliegie dovrà, per forza, passare il cancello e chiederci il permesso. Se i richiedenti arrivano dal cielo, almeno ci facciano la cortesia di arrivare alla spicciolata e non in gruppi superiori a 10. (Ad oggi questa proposta non è stata ascoltata)
2. Per gestire meglio i flussi, si richiede ai volatili di non arrivare tutti nello stesso periodo, quando le ciliegie sono mature, ma di organizzarsi in turni per coprire anche i mesi invernali e quelli estivi, quando le ciliegie non ci sono. (Ci è stato risposto con un fischiettio da un fringuello che aveva tanto il suono di una presa di culo)
3. Dal momento che abbiamo un vicino a destra e uno a sinistra della nostra proprietà, chiediamo ai confinanti di prendersi una parte degli uccelli sui propri ciliegi. Il vicino a sinistra ha detto che lui fa già la sua parte accogliendo stormi e passeri anche nell’albicocco. Quello nella proprietà a destra ha risposto segando il proprio ciliegio e ricavandone un posto auto.
4. Come soluzioni interne ci siamo organizzati in corvè di 6/8 ore per dissuadere i volatili dall’approdare sui nostri rami: mia madre ci parla chiedendo per favore di transitare oltre senza recare disturbo, mio padre ha caricato una raccolta di dvd sui rami sperando che i riflessi sui dischi impauriscano lo stormo. Io ho improvvisato una manifestazione supportata dalla lobby dei fruttivendoli che, temo, abbia dei conflitti di interesse notevoli.
5. Abbiamo pensato di dipingere con lo spray di verde tutte le ciliegie, in questo modo gli uccellini non capiranno che sono mature e noi potremo mangiarle perché siamo più furbi. Non siamo noi quelli dell’illuminismo? (Abbiamo successivamente scoperto che la vernice era tossica)
6. Abbiamo chiesto al Comune di Sovicille di farsi carico del problema perché non può essere mica il singolo, solo perché il suo orto è posizionato proprio dove passano i flussi migratori, a restare senza ciliegie tutti gli anni. Ci è stato risposto che ci stanno pensando ma le priorità sono altre.
7. Abbiamo preso la decisione di cogliere noi le ciliegie e inviare il 10% del raccolto dove gli uccelli hanno svernato, perché è giusto aiutarli a casa loro.
8. Ci sono dei vicini che ci fanno notare che alcuni uccelli si sono permessi di schifare le nostre ciliegie dando una beccata e buttandole in terra. Almeno mangiatele, perdio! Meglio se quelle marcite, tanto per voi che differenza fa?
9. Si è verificato il caso di un merlo che canta “ti mangio ciliegea, no pago affitto”. Mio padre si è subito informato di fosse è quell’imbecille.
10. Alla fine abbiamo fatto una riunione di famiglia dove abbiamo deliberato che a noi di ciliegie bastano due panieri. Ok agli uccelli, basta che tolgano da terra i noccioli.

Mi sono messo a guardare il ciliegio. E’ bellissimo. E penso che sia naturale che continuino a volarci sopra gli uccelli.

Fine della metafora.

re leone

Animalisti: perché dico che Disney non amava gli animali

Attenzione: post ad alto tasso di ironia. Astenersi perditempo, mullah della salvaguardia animale e animalisti o vegani ortodossi.

  • Nel Paese delle meraviglie i bruchi fumano come turchi, i gatti si calano gli acidi, i conigli sono paranoici, le lepri schizofreniche.
  • Il Grillo di Pinocchio prende n°2 scarpe in faccia.
  • Lo Zio Paperone oltre ad essere un taccagno, se ne sbatte dei suoi pulcini.
  • La Bestia de “La Bella e la Bestia” è incazzata come una bestia di essere una bestia.
  • Il fratello del Re Leone uccide il Re Leone, che non è un uomo ma un leone.
  • I dinosauri di “Dinosauri” muoiono. Tutti.
  • La tigre di Robin Hood è una merda. Il serpente non ne parliamo.
  • Crudelia Demon ha una pelliccia di cane. Non sintetica.
  • Red e Toby se le danno di santa ragione. E sono due cuccioli.
  • Lilli è una cocker che si fidanza e passa la vita con un bastardo.
  • Il Cacciatore va nel bosco e strappa il cuore a un povero cervo per salvare la vita a Biancaneve. Che poi cucina animali per i nani.
  • Topolino è focomelico: ha solo 4 dita. Contatele!
  • Pippo è un cane ed è ritardato. Pluto è il cane di un cane ritardato.
  • Qui, Quo, Qua sono orfani. Paperino pure.
  • Nonna Papera con le sue torte provoca l’obesità di Ciccio.
  • La mamma di Dumbo muore (male).
  • La mamma di Bambi muore (male). E il papà tiene pure le corna.
  • Il Principe Rospo viene baciato, ma per prudenza non con la lingua.
  • Bianca è una topa ma Bernie alla fine va in bianco. Fine.

Morale: se c’è una disgrazia o una sciagura, il buon Walt, preferisce che capiti a un animale piuttosto che a un essere umano.

L’immagine è un fotogramma de “Il Re Leone” prodotto dalla Disney nel 1994. Anche quella fu una brutta annata.

AlmoNature

Animali Umani VS Umani Animali

Nel lontano anno 2000, scampato al Millenium Bug, mi sono laureato in Scienze della Comunicazione. Portavo una tesi dal titolo: “Il Palio Attaccato”. L’argomento era ovviamente il Palio di Siena. “Attaccare” il Palio, a Siena vuol dire vincerlo ma già nel 2000 la preoccupazione, anche nell’ambiente accademico, era rivolta agli “attacchi” da parte di gruppi più o meno organizzati che, spinti da un sedicente amore per gli animali o, come credo, per ottenere il famoso quarto d’ora di celebrità, scelgono ancora oggi con cadenza regolare la festa senese come nemico pubblico numero uno.

Vi risparmio il contenuto della tesi e di quali tecniche di comunicazione secondo il me di allora potevano essere attuate a tutela del Palio; quello che mi interessa raccontare è una parte, secondo me la più acuta, del lavoro che osservava come, a partire dal dopoguerra, l’animale abbia assunto un’accezione e una percezione presso i pubblici di massa che prima non aveva. Questo passaggio si attua negli anni del boom economico, in cui le campagne si svuotano di abitanti e gli animali da cortile come il cane, il gatto, il ciuco, diventano per chi, rifugiatosi in città non può farne a meno, animali domestici e veri e propri famigliari. Quello che era Fido, Bubi, Micio, assume un nome proprio. Sono gli anni in cui Disney si inventa il villain Crudelia De Mon che non ha come obiettivo quello di distruggere il mondo ma bensì di farsi una pelliccia di dolcissimi dalmata. Disney dà nomi propri a Lilli e al suo fidanzato bastardo (il bastardo più amato fino all’arrivo di Jon Snow), agli Aristogatti, a Dumbo e a Bambi. L’animale con Disney non è più bestia da lavoro o anello inferiore della catena alimentare, è il protagonista di una storia.

E’ un fenomeno che definirei “antropomorfizzazione dell’animale”; la bestia che diventa umana e alla quale si attribuiscono sentimenti che di animale non hanno niente. E’ la comunicazione bellezza. Disney ha tracciato l’inizio del percorso, ci ha abituati a vedere la realtà da un altro punto di vista e quel punto di vista è diventato una nuova normalità. Una normalità che porta alcuni a considerare gli animali più umani degli umani.

Chi gioisce per la morte di un torero, chi ammazzerebbe l’antipatico giornalista solo perché sventola un salame, chi distrugge anni di sperimentazioni in laboratorio perché fatte su delle cavie, chi toglie il miele e il latte dalla dieta di un bambino, è figlio di una deriva iniziata con il primo numero di Topolino. Che c’entra; anche io ne sono figlio e avrei dei seri problemi ad ordinare una Polenta con Stufato di Bambi in una baita di montagna oppure un piatto di Roger Rabbit alla Cacciatora.

I tuareg hanno centinaia di nomi per chiamare un cammello, ma sono nomi che descrivono le infinite modalità in cui quella bestia, che è contemporaneamente compagno di lavoro, mezzo di trasporto, cibo, patrimonio, materia prima per vestirsi, vive le varie stagioni e i suoi malesseri nel corso della sua vita. Una vita preziosa che deve essere rispettata non perché l’animale abbia dei sentimenti umani ma perché è parte di un tutto di cui noi stessi facciamo parte con il ruolo di esseri umani. I tuareg sanno bene dove finisce l’animale e dove inizia l’uomo. Per descrivere l’animale hanno centinaia di nomi, per descrivere l’uomo soltanto uno: uomo.

E vaffanculo a Walt Disney.

 

L’immagine del post è tratta dalla campagna realizzata per AlmoNature da Oliviero Toscani

carota

Silvano, il leader vegano

Mi chiamo Silvano e sono vegano. Ma badate bene, non perché amo gli animali; no, non è per quello che sono vegano. Sono vegano perché il mio sogno è sterminare le piante. Così le mangio, e da quante ne mangio sono diventato anche bulimico. Sono vegano e bulimico. Perché odio le piante? Semplice: perché mi rubano il lavoro! Vedrai, io vendo ombrelloni! Pensa a quanti ombrelloni potrei vendere se non ci fosse nemmeno un albero. E poi le piante non fanno niente tutto il giorno e ci costano. Lo sapete quanto costa una pianta allo Stato senza fare niente? Non lo so, ma sicuramente ci costa un monte. Per me le piante andrebbero sterminate, o perlomeno che stiano a casa loro. Ci sono già i boschi; che ci fanno le piante in città? Vengono a rubarci il lavoro! Stiano nei boschi e ci lascino in pace qui; con gli ombrelloni.

Ho anche fondato un movimento contro le piante: il MUP (Mangiatevi Una Pianta). Se ognuno di noi mangiasse anche un solo albero al giorno, considerato che siamo 7 miliardi, in due anni sarebbero risolti tutti i problemi. Prima gli alberi, poi passiamo ai cespugli, che tanto quelli non fanno ombra. Però, siccome le piante vanno educate da piccole, si mangiano anche i cespugli, almeno imparano. Quando vedo le erbacce che crescono sulle mura io le strappo e le metto in un sacco, poi quando arrivo a casa le mangio scondite, anche se non c’hanno i capperi. L’altro giorno trovai un Assessore che mi disse: “Bravo, lei è un grande cittadino che libera le mura dalle piante”. “Sì, ma quando ho finito qui, poi passo al Parco. Vedrai che piazzale dopo.”

Ma ultimamente mi sono accorto che da soli è dura, anche perché si rischia di sbagliare. Un paio di settimane fa per sbaglio mi misi a leccare la muffa dal box doccia della palestra. Uno che era con me mi chiese cosa stavo facendo e gli spiegai la mia filosofia. Lui mi fece notare che le muffe non sono piante ma “funghi pluricellulari, capaci di ricoprire alcune superfici sotto forma di spugnosi miceli” e poi chiamò il 118. Mi fecero un TSO. Sono stato tre giorni alla neuro e m’è toccato mangiare tre fettine di roast beef per farmi dimettere; così, per depistarli. Ma non tutti i mali vengono per nuocere. Mi hanno assegnato ai lavori socialmente utili: devo fare 40 ore all’all’Orto Botanico, ahahahahahaha! Vedrai quello che ci rimane…

Andiamo; le piante vanno sterminate! Spero proprio che alleghino a Il Giornale il libro: “Più seghe per tutti”. Quando tutti ce l’avremo in mano basterà dire: “l’ora della sega è giunta!”. Non ci saranno più Boschi, e nemmeno Renzi.

Lo so, il mondo non è ancora pronto per la nostra rivoluzione;ci prendono in giro, polemizzano, fanno satira. Ma vedrete che un giorno non si muoverà più neanche una foglia. Gli allergici al polline respireranno bene 12 mesi su 12. Gli intolleranti al grano riscopriranno la tolleranza. Quando due fidanzati si lasceranno non si diranno più: “ti ho piantato” ma ” ti ho sbarbato dalla mia vita”.

E una volta che il pianeta sarà ormai desertificato, taglieremo i pollici a quelli che hanno il pollice verde; obbligheremo gli animali carnivori a mangiare verdure, anche se non ci saranno più verdure da mangiare; invaderemo l’Amazonia ed esporteremo la foresta pluviale creando una catena di fast food e la gente farà la fila davanti “a McZonia”. E quando anche quella sarà senza un filo d’erba. ci butteremo nella fossa delle Marianne e attaccheremo le alghe, che sono piante pure quelle, anche se si nascondono bene. E quando anche le alghe saranno esaurite, ognuno mangerà le proprie piante dei piedi. E nessuno avrà più bisogno di muoversi. E rimarremo a casa. Immobili. Come piante.

 

L’immagine è un annuncio realizzato dall’agenzia tedesca KNSK Werbeagentur per l’azienda produttrice di coltelli WMF.

piccione

Nemico degli animali

Sono senese, ed in quanto senese sono nemico degli animali. Si perché noi, a Siena gli animali li odiamo. Dicono che ce l’abbiamo con i cavalli ma non è vero…a noi gli animali fanno schifo tutti! Ogni senese ha avuto almeno un cane, ecco appunto, lo ha avuto! Per noi la carica dei 101 è un film dell’orrore. A noi piace la musica classica, “La morte del cigno” specialmente…Quando passano i carabinieri sulle gazzelle noi gli spariamo…alle gazzelle! Con il te’ mangiamo le lingue di gatto…e poi il gatto lo buttiamo via. Per pasqua non mangiamo gli agnelli, mangiamo le pecore (e gli agnelli li facciamo stare a guardare). Quando ordiniamo due bistecche di chianina ci assicuriamo che provengano da due animali diversi (da noi un bove è una bistecca sola). Un mio amico una volta mi disse che con il suo SUV aveva distrutto una panda, che tra l’altro aveva anche i cuccioli. Se un istrice ci tira una delle sue penne noi gli tiriamo un calamaio, un banco e una lavagna! A Siena siamo noi che pizzichiamo le zanzare; quando una zanzara passa da Siena si mette l’Autan. Le lucciole le schiacciamo con la macchina (anche se a volte qualcuno si ferma e chiede i prezzi). A Siena siamo noi che cachiamo sulle spalle dei piccioni! DA NOI LE IENE RIDENS PIANGONO! Perché siamo malvagi con gli animali! La cinta senese è un maiale che alleviamo costringendolo ad indossare una cintura di tritolo. E da dove pensate che sia partito l’asteroide che ha estinto i dinosauri?
Ma la cosa più bella per noi è il pranzo di Natale, solo bestie in via di estinzione: mousse di koala, pappardelle all’uccello del paradiso, tigre bianca del bengala in umido, orso polare rifatto e per dessert i pinguini gelati. Perché i pinguini gelati sono buonissimi, è quando gli metti lo stecco nel culo che si incazzano come lupi!

Ma veniamo ai cavalli, vabbè, partiamo dal presupposto che qui a Siena i comunisti non mangiano i bambini ma mangiano i puledri! E di comunisti ce ne sono tantissimi….Gli zoccoli al Dr Gibeaux glieli forniamo noi! L’etimologia di “barbaresco” è la fusione di “barbaro” e “manesco”. Perché lui la notte dorme nella stalla, ma state sicuri che il cavallo non dorme! E cosa dire del nerbo…siete mai stati presi a billate per tre giri di piazza?
C’è qualcuno che pensa che noi il cavallo che vince lo mangiamo, non è vero… quello che vince, verso maggio lo invitiamo alla cena dell’asta. E dove pensare che finisca l’asta? C’è qualcuno che ha paragonato il Palio alla Corrida. Ma non c’è paragone…Il Palio è una corsa dove ti mettono le protezioni della formula uno e non ti fanno fare neanche la sosta ai box mentre alla Corrida, al massimo ti fischiano, ti suonano le nacchere e se l’esibizione va male ti prende un pochino per il culo il Maestro Pregadio!

(G. CITO e R. RICCI – Mattaglia 2009)

Immagine: campagna della quale ho curato la direzione creativa e il copywriting. Foto di Bruno Bruchi. Anno 2011. Vedi gli altri miei lavori su www.giampierocito.it

zoocial

Zoocial network (10 animali social)

Lavorare nei “zoocial” è bestiale! Se Facebook fosse uno zoo sarebbe molto divertente abbinare ai comportamenti degli utenti, osservazioni etologiche da documentario di Superquark. E tu quanti animali conosci?

1) Il Canide: amico fedele che scodinzola mettendo “mi piace” ogni volta che posti qualcosa. Puoi scioglierlo contro i tuoi haters, verso i quali abbaierà fedelmente.
2) La Moschina Fastidiosa: noioso essere che ti devasta gli zebedei con inviti a giochini di merda.
3) Lo Sciacallo: questuante bulimico di like, ottenuti condividendo disgrazie tra le più disparate. E disperate. Meglio se capitate a bambini.
4) La Volpe: sa come gira il mondo e furbescamente fa il pieno di like a ogni post. Sa usare gli ‪#‎hashtagghe, soprattutto in politica.‬
5) Il Pavone: l’amico vanitoso che posta selfie con la bocca a culo di gallina.
6) Il Gufo: l’amico a conoscenza di tutte le teorie del complotto che ti toglie il sonno prevedendo e preannunciando catastrofi imminenti. Porta male.
7) Il Coccodrillo: piange pubblicamente quando muore qualcuno che magari non salutava neanche.
8) La Nana Berciona: ce l’ha con tutti e lo fa sapere a tutti.
9) Il Canguro: posta a raffica saltando di palo in frasca.
10) Il Verme: ti saluta sui social e ti ignora per la strada.

 

Ps. La foto è ripresa dalla campagna della compagnia telefonica ucraina Kyivstar, agency Leo Burnett.