Il Palio “attaccato”
Nel 2000 mi sono laureato in Scienze della Comunicazione all’Università di Siena con una tesi dal titolo “Il Palio Attaccato” (relatore Maurizio Boldrini, correlatore Omar Calabrese). A Siena “attaccare il Palio” significa averlo vinto e appeso a una delle pareti del proprio Museo di Contrada. Ma vuol dire anche scatenarsi dall’esterno contro la Festa, con la volontà di screditarla e danneggiarla. Sono passati quasi 20 anni da quel mio studio che provava a capire e dare un senso al perché molti ce l’abbiano con noi. Se avete voglia, vi lascio qui sotto un brano di quel lavoro che in questi giorni sono andato a rileggermi con piacere.
IL “DENTRO” ED IL “FUORI”
Il Palio ha due prospettive dalle quali può essere guardato e vissuto: il “dentro” ed il “fuori”. Una visione profonda, contrapposta ad una visione superficiale della Festa e dei suoi significati.
Prima di andare ad esaminare i due gruppi contrapposti nel dibattito riguardante la morte dei cavalli nel Palio, ognuno dei quali fa propria una delle due prospettive (difensori del Palio/dentro vs detrattori del Palio/fuori), vale la pena di soffermarsi ad analizzare il Palio stesso nella sua essenza. Da qui si troveranno, poi, svariate attinenze che serviranno a capire meglio le cause sia degli attacchi che della difesa del Palio.
In ognuna delle scadenze e dei rituali della Festa senese, domina la coppia oppositiva dentro/fuori. Il Palio è una manifestazione che si svolge essenzialmente all’aperto, tuttavia, le fasi più salienti ed importanti di essa trovano la loro conclusione all’interno, in luoghi chiusi. La carriera stessa, le prove, il Corteo Storico, sono tutti elementi della Festa che trovano la loro espressione e il loro svolgimento di fronte a tutta la cittadinanza, sono le parti conclusive di svariati procedimenti che hanno, però, una preparazione ben più complessa. Questa preparazione si svolge, appunto, al chiuso, di fronte a pochi, se non pochissimi attori.
Tutte le pratiche di estrazione e di selezione legate alla sorte, vengono effettuate all’interno dei locali del Palazzo Comunale in presenza esclusiva dei Capitani e del Sindaco: l’estrazione delle Contrade e la scelta dei dieci cavalli che lo correranno. Per quanto riguarda l’assegnazione dei cavalli, essa viene effettuata in Piazza del Campo di fronte ai popoli delle varie Contrade ma, Sindaco e Capitani, si trovano su di un palco ben racchiuso da ringhiere e dietro ad una staccionata che nessuno può scavalcare: la fortuna è dentro ad una gabbia che nessuno che non sia autorizzato può aprire.
Questi elementi servono a testimoniare il fatto che il Palio è una Festa che trova la maggior parte del suo svolgimento all’interno; fatto che, se a prima vista può sembrare del tutto irrilevante, in realtà assume una valenza semantica notevole per poter capire il motivo di come mai la popolazione senese sia così restia ad accettare un confronto con chi, dall’esterno, voglia interferire con lo svolgimento del Palio.
Anche la scelta della Piazza del Campo come luogo deputato ad ospitare la corsa non è del tutto casuale. Il Campo, oltre ad essere la piazza più grande della Città, assume anche, per la sua forma e per la sua posizione, un significato particolare che non deve essere sottovalutato. La forma della pista è per lo più trapezoidale ma, per comodità interpretativa, la definiremo circolare. Questo significa che, in essa, inizio e fine coincidono e si sovrappongono. Il Palio non è altro che un ritorno. Un ritorno che si ripete per tre volte consecutive nello stesso punto della Piazza e un ritorno che si ripete per due volte ogni anno nello stesso punto della Città. Per esattezza, nel centro della Città. Al momento del Palio, Siena implode verso il suo punto più interno cercando di andare ad interiorizzare una tradizione e un rituale che è proprio della parte più profonda e antica della Città stessa.
“Il punto focale della corsa è dunque per intero proprio nel centro della Città, che è, per definizione, il punto più lontano dal mondo circostante” (Alessandro Falassi e Alan Dundes; La Terra in Piazza 1975).
Questa è la vera essenza del Palio alla Tonda che viene corso in presenza dei cittadini senesi nel punto più distante dalla non-senesità. E’ anche per questo che molti senesi non vedono di buon occhio la presenza di telecamere (e telefonini) che veicolano le immagini del Palio al di “fuori”.
La dicotomia dentro/fuori si esplica anche nella platea di spettatori che assiste al Palio. Gli spettatori nella Piazza si trovano racchiusi all’interno di essa dal momento che la pista viene delimitata con una serie di “steccati” che la separano dal luogo in cui si trova la folla. Il pubblico può anche guardare la corsa dai “palchi”, una serie di gradinate posticce di legno che vengono disposte intorno alla pista nei giorni precedenti al Palio.
In questo modo, sia chi si trova all’interno della Piazza, sia chi rimane sui palchi, non ha la possibilità di interferire con l’esito della corsa. La corsa è il “dentro” e il pubblico è il “fuori”.
Nel momento in cui viene chiusa l’ultima entrata alla Piazza prima del Palio, nessuno potrà entrare o uscire dal Campo fino a dopo la corsa.
Tutti questi elementi confermano e avvalorano l’ipotesi che anche nell’interpretazione di tutta la Festa ci possano essere due punti di osservazione: uno interno e uno esterno.
Il punto di vista interno è quello di coloro che, pur non essendo necessariamente senesi, sono entrati in profondità nello spirito del Palio e hanno cercato di comprenderlo in ognuna delle sue innumerevoli sfaccettature.
Il punto di vista esterno, invece, è quello di coloro che, non essendo entrati in contatto con la vita e con il substrato culturale che fa da humus per tutta la Festa, hanno mantenuto una visione essenzialmente superficiale di essa.
Tra i due modi di vedere il Palio non può che esserci incomprensione e scontro. I due gruppi vanno quindi a formare due realtà ben distinte tra loro. Non è azzardato arrivare a definirli “due culture altre”.
Dallo scontro di due culture altre è frequente il verificarsi la nascita di pregiudizi e stereotipi che non fanno altro che aumentare il rischio di un vero e proprio conflitto tra i due gruppi.
“Da un punto di vista etimologico il termine pregiudizio indica un giudizio precedente all’esperienza, vale a dire un giudizio espresso in assenza di dati sufficienti. Proprio per tale carenza di validazione empirica, il pre-giudizio viene di solito considerato anche come un giudizio errato” (Bruno Mazzara; Stereotipi e pregiudizi, 1997).
Non conoscere la cultura dell’altro, come avviene nel caso di una visione fugace del Palio di Siena che si può trovare in rete o in tv, porta ad attribuire dei giudizi derivati da preconcetti che, nella maggior parte dei casi si rivelano errati. Ma non sono soltanto i pregiudizi negativi a danneggiare la correttezza dell’interpretazione della Festa, anche da parte di coloro che hanno una visione interna, e quindi ben più profonda, di quelle che sono le chiavi interpretative della manifestazione, si possono scatenare dei pregiudizi positivi che danneggiano l’immagine del Palio.
“Forse i pregiudizi positivi sono altrettanto numerosi e forti di quelli negativi, d’altro canto il pregiudizio negativo è spesso complementare a un pregiudizio positivo nel senso che, ad esempio, la considerazione negativa di gruppi diversi dal proprio si basa su una considerazione esageratamente positiva di quello al quale si appartiene” (Bruno Mazzara; Stereotipi e pregiudizi, 1997).
Questo porta, senz’altro, ad avere una visione distorta di quella che è la realtà. L’autoesaltazione e il convincimento che “tanto s’ha ragione noi” non può fare altro che minare l’immagine di una manifestazione che, già di per sé, corre dei pesanti rischi da un punto di vista di proiezione della propria essenza al di fuori della Città.
SIENA E IL MONDO. DUE REALTA’ UGUALI E DISTINTE.
La città di Siena è perfettamente integrata all’interno di una realtà sociale come quella italiana. A dimostrazione di questo si può portare, come elemento provante, il fatto che Siena si è più volte distinta tra le altre provincie d’Italia classificandosi ai primi posti per quanto riguarda la qualità della vita, nelle statistiche stilate dai principali quotidiani economici nazionali (Il Sole 24 Ore, Italia Oggi). Nonostante questo, tuttavia, all’interno della Città si viene a creare, durante i giorni del Palio, un “non-mondo” o, per meglio dire, un “mondo altro” rispetto a quello che investe i ritmi della vita senese di tutto l’anno. Le strade assumono dimensioni diverse e diversi significati rispetto a quelli assunti normalmente. Le vie diventano linee di demarcazione di territori invalicabili. Il confine assume una valenza precisa. Siena si trasforma, in questo modo, in uno spettacolare campo di battaglia, o forse sarebbe più giusto dire in una scacchiera, sulla quale gli stessi senesi assumono al tempo stesso il ruolo di pedine e di giocatori di questo grande gioco che si sovrappone alla vita di tutti i giorni. Il medico, l’impiegato di banca, lo studente, diventano improvvisamente il Capitano, il Mangino, il Barbaresco. O sarebbe più giusto dire, lo sono sempre stati nel corso dell’anno, ma hanno finto di non esserlo recitando la parte di persone che vivono in una società perfettamente integrata con il contesto sociale del Paese. Il Palio si delinea quindi come uno straordinario “gioco di ruolo” nel quale è impossibile spogliarsi completamente dei panni del contradaiolo. La Contrada è un’appartenenza, è inscritta nel patrimonio genetico di un senese e non si può fare niente per sottrarvisi. Uno sguardo sul Palio non può considerarsi approfondito se non parte dall’analisi di queste premesse.
Non è detto, tuttavia, che soltanto chi è nato a Siena e che ha vissuto la Contrada fino dal momento della nascita possa comprendere e condividere lo spirito del Palio. Uno spirito che non si esplica solamente durante i giorni della Festa ma che pervade la Città in ogni stagione dell’anno.
Avvicinarsi alla cultura paliesca e senese è come avvicinarsi ad una cultura completamente anomala rispetto al modo di pensare che caratterizza la società italiana, e occidentale in genere. Per questo motivo mi sembra possibile fare un raffronto con alcune teorie antropologiche che prendono in esame il problema dell’alterità tra due culture diverse tra loro.
Per chi guarda il Palio dal “di fuori” esistono due modi per accostarsi all’universo della cultura senese di cui il Palio è l’espressione più evidente: il “giro lungo” e il “giro breve” (Francesco Remotti; Noi primitivi, 1990).
Il giro breve: è un contatto fugace e superficiale con la cultura altra. In questo tipo di contatto l’osservatore si limita a prendere in esame gli elementi più facilmente individuabili della cultura diversa dalla propria tralasciandone i significati profondi. Da questo tipo di rapporto scaturiscono, solitamente, pregiudizi e intolleranze tra due culture che non fanno niente per capirsi vicendevolmente. (es. “E’ morto un cavallo, allora i senesi devono per forza essere degli assassini che maltrattano gli animali”)
Il giro lungo: è un contatto profondo con l’altra cultura. In esso il visitatore abbandona i giudizi a priori sull’altro cercando di addentrarsi in quelli che sono i significati nascosti dietro ai gesti più semplici e banali che un appartenente all’altra cultura compie. In questo modo il visitatore ha modo di osservare e comprendere in profondità l’altra cultura. Da questa comprensione derivano due vantaggi: a) l’osservatore ripensa se stesso e la propria cultura; b) l’osservatore arricchisce la cultura altra con giudizi critici e non stereotipati su di essa.
La brevità o la lunghezza del “giro” compiuto dall’osservatore del Palio, non deve essere intesa da un punto di vista strettamente quantitativo: non si misura in giorni, ore o minuti. Non è la durata temporale di un viaggio, infatti, che ne determina la profondità e la ricchezza culturale (sebbene la durata della permanenza possa aiutare a rendere più approfondita la conoscenza di una cultura diversa dalla propria); la lunghezza del giro riguarda, piuttosto, la conoscenza che si desidera approfondire di un evento o di una manifestazione, di cosa c’è “dentro”.
Che è molto più, anche se sembra impossibile, di quello che si può vedere restando soltanto un minuto e mezzo a guardare quello che si vede “fuori”, magari attraverso una ripresa rubata con un telefonino.