#Fertilityday: un suicidio assistito (con visto si stampi)
Ragazzi abbiamo fatto un passo in avanti: il Ministero della Salute ha sdoganato in Italia il suicidio assistito. Il suo.
Da pubblicitario di provincia evito sempre di fare sparate contro chi fa il mio mestiere. Anche perché conosco bene i miei polli e so con certezza che molte delle ciofeche che escono fuori sono il risultato di un processo che parte dalle migliori intenzioni di una stanza di creativi per arrivare a spiaccicarsi contro il muro delle virate a gomito del cliente. Non che ci sia qualcosa di difendibile nella prima e nella seconda uscita della campagna del Fertility Day. E’ come se il cliente si fosse fatto esplodere con una cintura di tritolo e, incredibilmente sopravvissuto, avesse chiesto all’agenzia: “ora per favore, mi metti anche una bomba a mano nel culo, ok?”
Il problema non è il brief che evidentemente parte da delle basi razziste, superficiali e brutte a livello concettuale nel dividere il bene e il male, nel contrappore gli eiaculatori feritili e le ovulatrici sterili, i bianchi caucasici trovati su Shuttertock ai negri che si fumano l’hashish con delle groupie invece che con le ragazze del Coyote Ugly, le foto stinte a quelle seppiate, il mare d’inverno alle sere a casa di Luca.
Il problema non è il copy che mette “compagni” tra virgolette per strizzare l’occhio a tutti quelli che odiano i kommunisti. O il grafico che usa le ombre come farebbe Ray Charles. O quella frattura tra il bene e il male che ricorda con un tempismo invidiabile il grafico tellurico di Amatrice.
Il problema è il “visto si stampi”. Perché, forse tutti non lo sanno, ma ogni agenzia, anche quelle più scrause, ormai si fa dare un ok dal cliente prima di uscire con una campagna. E’ come dire, caro Ministro, io ti avevo proposto una attività di storytelling che avrebbe fatto piangere mezza Italia, ti avevo detto di fare le foto con modelli che non fossero quelli di Baywatch, ti avevo detto di testare la campagna, ti avevo detto che mi è morto l’art director, ti avevo detto che così facciamo la fine di Thelma e Louise ma se mi dai l’ok (e se mi paghi la fattura tra 180 giorni), io vado. Hai capito? Vado.
Ok!
E ora sono cazzi!
La comunicazione ha sempre degli effetti, come le medicine. A volte sono effetti blandi, altri dei palliativi, a volte sono molto positivi e a volte letali.
Se il Ministero della Salute, invece, avesse trattato i pubblicitari come se fossero dei medici che hanno la competenza e l’autorevolezza per prescrivere una terapia, la situazione, magari, sarebbe stata la seguente:
Account: “Signor Ministro, dalle analisi che vedo posso riscontrare che lei ha due linee di Bisogno di sparare baggianate. Le assicuro che la sua non è una malattia rara e che in questi casi trattiamo il paziente con una terapia molto efficace ma deve andare da uno bravo, uno specialista. Non si può affidare al primo che capita perché è il cugino del suo sottosegretario.”
Ministro: “Dottor Account, mi fido ciecamente delle sue prescrizioni e domani fisso un appuntamento.”
Account: “Tra l’altro non c’è neanche da passare dal Cup. Ci vediamo in agenzia dove troverà il nostro personale altamente qualificato che starà con lei per tutto il tempo della campagna.”
Ministro: “Posso fare delle correzioni?”
Account: “Forse non ci siamo capiti. Lei sta tirando il calzino. Se vuole andare avanti così faccia pure”
Ministro: “No no, facciamo come dite voi.”
Account: “Ok?”
Ministro: “Ok!”
Account ai creativi: “Ragazzi, c’è da fare nottata, questo è un caso disperato! Lo stiamo perdendo, lo stiamo perdendo…”
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[…] Ps uno: oggi sarebbe stato il “fertility day”. Stendo un velo pietosissimo sulle campagne di comunicazione, che sono passate dal fascismo direttamente al nazismo (senza passare dal via); velo altrettanto pietoso sul divorzio far il ministro e la direttrice della comunicazione da parte della ministra Lorenzin: ci vuole far davvero credere che la “comunicazione” non le abbia presentato almeno un paio di alternative e che non sia stata lei, alla fine, a dire “visto si stampi”? (ah già, magari non sa neppure cosa voglia dire). Utile leggere il blog di Giampiero Cito (Cito). […]
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