palio

Cinque modi per leggere il Palio (più le Sfumature)

La premessa doverosa a questo post è che sono convinto che il Palio di Siena non sia, come molti dicono, una “Festa”. A una festa si va per stare bene e invece vivere un Palio è, per chi lo sente davvero, quasi sempre una sofferenza.

Sono molti, anche in Contrade piccole come la mia, quelli che giungono alla vita contradaiola da adulti. Qualcuno ha solo la dote dell’intelligenza, qualcuno solo quella dell’umiltà. C’è anche chi non ha nessuna delle due ma qualche raro caso in cui intelligenza e umiltà coincidono c’è. Durante i giorni dell’ultimo Palio mi è capitato di parlare con un aquilino dall’accento romanesco (contemporaneamente umile ed intelligente) che mi chiedeva lumi sul Palio. Ho provato a spiegarglielo così:

Ci sono cinque letture che una persona può dare di ogni Palio:

  • La Lettura Estetica: è quella di chi usa soltanto gli occhi. Gli occhi non possono fare altro che ammirare la bellezza di una delle piazze più straordinarie del mondo, che in quei giorni viene, per giunta, abbellita. Il Palio è per loro una bellissima corsa di cavalli, preceduta da un bellissimo corteo con tamburi e bandiere che culmina come un orgasmo con il tonfo di un mortaretto e da innumerevoli abbracci tra persone sudate che sembrano comunque bellissime. Questa lettura è quella dei fotografi non senesi che catturano, appunto, l’estetica di quella che a loro può sembrare davvero una Festa.
  • La Lettura Politica: è quella di chi conosce i rapporti di rivalità, di alleanza e le rispettive forze in Campo, fisiche ed economiche delle varie Contrade. Questo tipo di lettura è quella che ogni senese riesce a dare e che anche molti non senesi appassionati di Palio, possono facilmente decodificare. E’ facile imparare chi è avversario di chi, quali sono le Contrade grandi e quelle piccole, quanto tempo è che una Contrada aspetta la vittoria o se desidera che la rivale non vinca. Fino a qui tutto facile.
  • La Lettura Nozionistico/Statistica: è quella di chi segue il Palio tutto l’anno con un’attenzione mnemonica maniacale; che conosce perfettamente tutti i Palii dal dopoguerra con i relativi cavalli, fantini e ordine ai canapi. Sono in molti, ma non moltissimi, quelli che puoi interrogare sui piazzamenti in provincia dei cavalli che corrono le batterie, sull’età dei fantini e sui tempi di galoppo. Chi può dare questa lettura osserva e manda a memoria una quantità enorme di dati che potrebbe essere, a seconda dei casi, utilizzata da dirigenti per costruire le loro strategie o dai polemici di professione per dissertare e muovere critiche feroci nel dopopalio. “Questo cavallo ha vinto a Monteroni, ma a Monticiano non s’è mai visto”. “Quel fantino sono dodici anni che corre. E non ha mai vinto!” Di fronte a questo tipo di dissertazioni il consiglio è annuire sempre.
  • La Lettura Emotiva: è forse la più bella lettura che si può dare del Palio. Questa la si può leggere solo se ci sei nato o se sei riuscito a trovare, da grande, l’interruttore che ti fa battere il cuore a una velocità accelerata quando ti senti parte di un popolo che condivide con te l’amore per gli stessi colori. Ci sono senesi nati in Contrada che progressivamente la abbandonano. Credo che il motivo sia che non riescono a leggere (o a reggere) le emozioni che il Palio trasmette. E’ possibile anche contagiare con queste emozioni qualcuno che viene da fuori e che poi, inesorabilmente, tornerà per sempre. Ci sono fotografi che riescono a fotografare non solo l’estetica del Palio ma anche le emozioni: Francesco Cito, Carlo Vigni, Bruno Bruchi, Andrea Lensini, Elisa Lovati, Giulia Brogi, Paolone Lazzeroni. Sono quelli che scattano foto a selve di braccia alzate, a occhi gonfi di pianto, a un barbaresco di spalle che si fa appoggiare su una spalla la testa del cavallo e ad adulti che si abbracciano come quando abbracciavano la loro mamma. Saper leggere il Palio così è un dono che non tutti hanno. Direi quasi che è una forma di talento.
    • La Lettura Dietrologica: è una distorsione della lettura politica ma infarcita di pettegolezzo. E’ la lettura di chi sa per filo e per segno i rapporti intrecciati di reciproco interesse tra dirigenti delle varie Contrade. E fantini. E cavallai. E veterinari. E mogli e mariti di ognuno di loro. “Sai che il Capitano della Vipera ha sistemato a lavoro la sorella di Cispa?”, “Occhio che il mangino della Spadaforte era padrino del battesimo del figliolo di Acciuga”, “Il proprietario di Folco ha detto che non lo porta perché corre l’Orso ma quando correrà solo la Quercia vedrai che lo porta”. E’ la lettura di chi si illude che l’opera dell’uomo sia la prima forza in campo nel Palio, tralasciando quella cieca burlona che è la Sorte.

    Dopo avergli spiegato le cinque letture, l’amico laziale sembrava abbastanza soddisfatto ma io non avevo ancora finito:

     

    “…e poi ci sono le Sfumature. Le Sfumature sono quelle che ti fanno passare da una lettura del Palio all’altra nell’arco di un nanosecondo. Le Sfumature sono sapere che la montura di quel ragazzo che va a prendere il cavallo la portava quello che portò Rimini vittorioso il giorno in cui quel ragazzo nacque. Le Sfumature sono emozionarsi per la foto di una signora col cappotto che non gioiva da trent’anni. Sono vedere un babbo e un figlio vestiti nella stessa Comparsa. Sono riuscire a decifrare un bacio tra due amici che non si parlavano da tre anni. Sono rivedere quel vecchio brontolone che non vedevi da quando fece quella sceneggiata all’Assemblea. Sono conoscere tutti quelli della tua Contrada e tanti della tua Città e giocare a indovinare cosa stanno pensando in quel preciso istante, con la certezza matematica di indovinare. Sono tutte quelle cose che se non le hai ancora capite, forse non le capirai mai. Amico mio, sei già un bel contradaiolo e tra poco riuscirai a leggere il Palio come vorrai. Ma se vuoi godertelo per davvero, dammi retta, cerca di vedere le Sfumature”.

    dracula

    Buon sangue…

    Alla quarta domanda del questionario ho capito che non ero idoneo a donare il sangue, allora ho iniziato a rispondere alle domande a modo mio:

    D: “Ha avuto recentemente rapporti sessuali occasionali?”
    R: “Non in questo millennio.”
    D: “È mai stato per più di sei mesi in Inghilterra dal 1990 al 1996!”
    R: “No, maledizione!”
    D: “Ha recentemente fatto uso di sostanze psicotrope?”
    R: “Non credo, ma non ci giurerei. Sono confuso.”
    D: “Ha un peso corporeo superiore a 50 kg?”
    R: “Con i vestiti o senza?”

    Scherzi a parte: donare il sangue fa bene, può salvare una vita e ti danno anche la colazione gratis. Voi che potete, fatelo!

    spiderman-donor

    L’immagine della testata è ripresa dalla campagna per il World Blood Donor Day 2014.

    L’immagine nel post è la campagna per l’Hellenic Association of Blood Doors realizzata da JWT nel 2013.

    parlare

    L’Urgenza del Parlare (a vanvera)

    Siamo tutti ammalati. La malattia ce l’ha attaccata un ragazzo di nome Marco. Marco Zuckerberg. Ci ha messo in mano un megafono e ci è esploso come un giocattolo bomba. E tutti noi, con le mani a brandelli e con la faccia bruciacchiata non ce la facciamo, dobbiamo parlare. Dobbiamo postare. In sette o otto anni abbiamo sfanculato quelle cose che le nostre nonne ci avevano insegnato sventolandoci per un orecchio: la moderazione, la mediazione, la buona creanza, la buona educazione, il buon gusto. Tutta colpa di Marchino e del suo megafono esplosivo. La nonna ci aveva insegnato faticosamente a contare fino a dieci prima di parlare e Marco ci ha messo il tasto “Pubblica” che lampeggia quando arrivi a contare il due.

    Erano risusciti a farci capire che non si parla prima che il nostro interlocutore abbia finito e ci hanno tirato fuori WhatsApp dove si conversa in gruppo ma ognuno segue il suo filo.

    Cosicché un amico dice: “Avete saputo di Marta?” mentre un altro propone: “Pizzino stasera?” e un altro ancora esordisce con: “Quanto costa il Cinema in Fortezza?”. In questo modo viene fuori che Marta la chiamavano Jeeg Robot e il cinema costa come una pizza quattro stagioni più birra artigianale, la quale birra, tuttavia, è incinta di Sergio, uno dei fratelli Vanzina.

    Il social ci sta dando armi per diventare isole che ascoltano solo se stesse. Che c’entra, siamo tutti iperinformati in tempo reale di quello che accade dall’altra parte del mondo e perfino nella casa accanto. Anche se conosciamo per filo e per segno l’altra parte del mondo (l’abbiamo vista su Instagram) e non ci salutiamo col vicino di pianerottolo. La gente parla con quei tre o quattrocento amici al giorno che per non fare sentire soli, chiami anche la notte alle tre, quando sarebbe giusto essere mandati a quel paese da chi ti fa vibrare il cellulare mentre sei in piena fase rem. O magari, quando finalmente, dopo tanto penare l’avevi chiesta e ottenuta.

    Ma la cosa più atroce è l’urgenza del parlare. Ci avevano abituati ad aprire bocca solo se avevamo qualcosa di intelligente da dire. Ma niente, è saltato per aria anche questo. Dobbiamo dire per forza qualcosa, basta sia, altrimenti abbiamo paura che la prossima volta che ci guarderemo allo specchio non ci troveremo niente. E nel parlare per forza, per forza spesso si parla a vanvera, tanto per dire.

    C’è chi commenta tutto. E chi critica tutto. C’è chi si lamenta di tutto e chi mette mi piace a tutto. Tutto. O niente. Meglio tutto. Meglio di niente.

    Ognuno si sente contemporaneamente edotto ed autorizzato a dire la sua verità che, provenendo dal tamburellare sulla tastiera da parte di un luminare, è certamente e incontrovertibilmente, una verità assoluta.

    Io ad esempio quando ho iniziato a scrivere questo post avevo qualcosa di intelligente da dire, ve lo giuro, ma l’ho dimenticata. Nel frattempo però ho fatto tre altri post del blog, quattro post su facebook e sei su Instagram. Su Twitter no, Twitter è morto. O è malato grave. Meglio Snapchat. Però poi dopo poco quello che dici scompare. Che forse non è mica un male. Forse. Boh? Condividi? Dai, condividi. Anche se non condividi, condividimelo, ti prego, fallo per me…

    Vabbè dai, ora mi zitto. Per qualche ora. Anzi, no, mi è venuta una cosa ganzissima da dire. Ci vediamo su Facebook. Un post solo e poi smetto. Ma questo lo posto. Sì sì, questo lo posto. Alla zitta.

     

    L’immagine è opera dell’illustratore Eiko Ojala. Potete trovare altri suoi capolavori qui: https://www.behance.net/eiko o qui: http://ploom.tv

    quercia

    La Grande Quercia

    La tremenda bellezza della natura. Il fragore e lo sconquasso di una quercia secolare che cade morta per il terreno che non la regge più. Tonnellate di legno sano che vengono giù trascinando con sé anche gli alberi più piccoli. Metafore della nostra vita che ci fanno capire che il tempo è un gran dottore ma anche un gran boia.

    Grande Quercia,
    Memoria della mia perduta giovinezza,
    Che riparavi con le tue fronde
    Una vecchia fornace di mattoni
    Che proteggevi l’insoglio dei cinghiali
    Che accorrevano a pasteggiare
    Delle tue ghiande.
    Sei venuta giù d’un tratto
    Tra le risate fragorose delle tue sorelle.
    Sei caduta come una Banca che non c’è più.
    E ora che sei legna da ardere,
    Io mi ricorderó delle scalate tra i tuoi rami.
    Di quella casa sull’albero
    Che avevamo progettato.
    Sono caduto come te.
    Ma io mi sono rialzato.
    Non più ragazzo.
    Mi sono rialzato Uomo.
    Con i piedi piantati in un terreno fragile.
    Pesante, caduto e dolorante.
    Una quercia che non cade
    Per un solo colpo d’ascia.
    Una quercia, sai, non cade
    Per un solo colpo d’ascia.

    valli

    Ricchezza di fine estate

    Stamani mi sono alzato tardi e questa è già una buona parte della ricchezza che ho trovato oggi per caso. Ho sceso le scale di pietra della mia casa di campagna con gli occhi pieni di cispe e mi sono incamminato per i viali della Fattoria di Montestigliano. Viali che trenta anni fa erano costeggiati da cipressi belli come erezioni mattutine ma che ora stentano malaticci e rinsecchiti. Anche la strada, che prima la potevi percorrere anche col monopattino, ora è una serie di calanchi che nemmeno una macchina da Camel Trophy oserebbe affrontare. Dopo un chilometro c’è una svolta a sinistra. Poco più avanti il cancello di un antico podere che qualcuno chiamó “Il Pozzo”. Accanto al cancello una strada che lo aggira che rappresenta tutta la pigrizia del mondo di chi non ha voglia di scendere dalla macchina per aprire un cancello. Oltre solo ulivi non potati che quest’anno non faranno olive. Sono andato più avanti e mi sono buttato giù per una strada nella quale ho preso una coppia di storte: una per ogni caviglia. Ero solo, anzi no. Ho percorso la discesa accompagnato da mosconi e tafani che devono aver scambiato la mia polo bianca per il groppone di una chianina. Un moscone mi si è tuffato in un orecchio ma ne è immediatamente riemerso disgustato. Un tafano, invece, ha trovato la strada del colletto e mi ha più volte baciato la schiena. Dopo un km e mezzo sono arrivato ad uno spiazzo che ricordavo pieno di alberi. Ora gli alberi sono ordinatamente accatastati nell’attesa che arrivi qualche proprietario di caminetti. La vista della Piana di Rosia era bellissima: in fondo a un campo di girasoli che hanno ormai abbassato la testa, passava lontana qualche macchina della quale non sentivo il rumore. Mi sono avvicinato al borgo di Valli evitando la stradina a sinistra che mi avrebbe riportato a casa passando da un vecchio cimitero di campagna dove restano le foto e i nomi di antichi contadini i cui genitori avevano trovato qualche libro per caso: Ivanoe, Gengisse, Vasintonne (maledetto impiegato dell’anagrafe che non sapeva scrivere Washington), Napoleone, Artù. La strada a destra porta invece proprio a Valli: a cinquecento metri in linea d’aria più sopra c’era la casa del fattore ma lì sotto nascevano e morivano i braccianti. Nacque in una di quelle case Evelina detta Vela, nonna di Marco, mio amico d’infanzia. Vela “emigró” in età da marito al Poggio di Stigliano, quattro chilometri più a nord senza più tornarci. Ora quelle case sono transennate, i tetti hanno perso la voglia e sono venuti giù. È rimasto in piedi solo un bel forno a legna, che non ha fatto più il pane dai tempi di Don Camillo al cinema. Le finestre sono abitate da famiglie di piccioni e da ritrovi di lucertole. Mentre passeggiavo tra quei ruderi mi sono immaginato a cavallo, padrone di quelle pietre, salutato dalle bestemmie dei contadini che mi regalavano uova calde e cipolle terrose. Ho immaginato di essere un milionario e ho pensato che non sognerei una barca da 40 metri. Il mio sogno sarebbe rimettere un tetto alle case di Valli e di rifare il pane in quel forno spento. Sono andato più avanti e ho trovato dei rovi. Stasera ci torno. Non con un progetto milionario e con un archistar ma ci tornerò con un paniere di vimini. E farò misdea di quelle poche more. Credendo di essere ricco come il Signorotto della Piana di Rosia.

    re leone

    Animalisti: perché dico che Disney non amava gli animali

    Attenzione: post ad alto tasso di ironia. Astenersi perditempo, mullah della salvaguardia animale e animalisti o vegani ortodossi.

    • Nel Paese delle meraviglie i bruchi fumano come turchi, i gatti si calano gli acidi, i conigli sono paranoici, le lepri schizofreniche.
    • Il Grillo di Pinocchio prende n°2 scarpe in faccia.
    • Lo Zio Paperone oltre ad essere un taccagno, se ne sbatte dei suoi pulcini.
    • La Bestia de “La Bella e la Bestia” è incazzata come una bestia di essere una bestia.
    • Il fratello del Re Leone uccide il Re Leone, che non è un uomo ma un leone.
    • I dinosauri di “Dinosauri” muoiono. Tutti.
    • La tigre di Robin Hood è una merda. Il serpente non ne parliamo.
    • Crudelia Demon ha una pelliccia di cane. Non sintetica.
    • Red e Toby se le danno di santa ragione. E sono due cuccioli.
    • Lilli è una cocker che si fidanza e passa la vita con un bastardo.
    • Il Cacciatore va nel bosco e strappa il cuore a un povero cervo per salvare la vita a Biancaneve. Che poi cucina animali per i nani.
    • Topolino è focomelico: ha solo 4 dita. Contatele!
    • Pippo è un cane ed è ritardato. Pluto è il cane di un cane ritardato.
    • Qui, Quo, Qua sono orfani. Paperino pure.
    • Nonna Papera con le sue torte provoca l’obesità di Ciccio.
    • La mamma di Dumbo muore (male).
    • La mamma di Bambi muore (male). E il papà tiene pure le corna.
    • Il Principe Rospo viene baciato, ma per prudenza non con la lingua.
    • Bianca è una topa ma Bernie alla fine va in bianco. Fine.

    Morale: se c’è una disgrazia o una sciagura, il buon Walt, preferisce che capiti a un animale piuttosto che a un essere umano.

    L’immagine è un fotogramma de “Il Re Leone” prodotto dalla Disney nel 1994. Anche quella fu una brutta annata.

    zombie

    L’amore (non corrisposto) e il bene (rifugio)

    Tutti noi siamo stati innamorati, abbiamo imparato da piccoli. E fin da piccoli abbiamo imparato che l’amore più doloroso ma anche più persistente è quello non corrisposto. Per quelli come me, che nel ’92 avevano 17 anni, quel Palio vinto alla grandissima, fu un fugace amplesso che ci ha lasciati orfani di quella bella donna che ci aveva portati a letto per una sola volta. Una con la quale, da inesperto fai cose pazzesche e irripetibili. Una che ti fa credere che sarà così ogni volta che vuoi e che poi ti lascia senza neanche salutare e per oltre vent’anni ti fa restare lì ad aspettarla a bocca asciutta. Da lì le nostre vite sono state sempre segnate.
    Segnate da quel sogno e dal sogno di riviverlo. E hai voglia a provare a raccontarlo a chi ha cinque o venti anni meno di te. Noi siamo stati gli ultimi a salire in quella alcova e anche quelli che hanno vissuto la malinconia di quella mancanza forse più di tutti.
    Di un amore non corrisposto si vanno a rileggere i messaggi, i biglietti scritti sottobanco, le vecchie lettere ciancicate. E così a volte capita di andare a riaprire il numero unico, gli articoli di giornale, a ricercare volantini e magliette ormai non più indossabili.
    E nonostante tutta questa grande malinconia, la Contrada resta sempre la più bella casa in cui rifugiarsi quando le nostre umane disgrazie ci rimettono i fila i valori a cui dare importanza. Ognuno di noi ha la propria coperta di Linus. Per alcuni sono le scarpe da calcio, per altri l’amante, per qualcuno la casa di mamma. Per me il “bene rifugio” è il portone di Società, la Sala delle Assemblee, il Chiassino, anche quando puzza di piscio.
    Crescendo si impara a leggere le persone, soprattutto gli amici, e sempre più spesso ci si accorge come ad ognuno di noi la vita abbia dato e tolto. Qualcuno non c’è più, con un vuoto assordante; altri hanno dovuto superare ostacoli che sembravano montagne; altri continuano a ridere imperturbabili, chissà se capiranno mai. Ognuno di noi ha le sue rughe, anche quelli a cui un tempo potevi dare qualche vile scapaccione. Da bambini mettono soggezione, da grandi si impara a capirle perché le stesse rughe ce le hai anche te. E’ per questo che, come gli zombie di “The walking dead”, si torna tutti lì, anche senza essersi dati l’appuntamento.
    Ogni anno che passa, nonostante sembra di perdere la carne a brandelli, il “bene rifugio” torna ad essere la coperta più rassicurante. Nonostante tutti quegli inutili giri primi che, nell’allegoria dell’amore non corrisposto, valgono come una risata di scherno presa in faccia da chi ami da morire da tutta la vita. E che non puoi fare a meno di continuare ad amare.

    Io continuo ad andare avanti. Per fermarmi dovete spararmi in testa. Come a uno zombie.

    L’illustrazione è di Benedetto Cristofani

    cito

    Cicciottelli rispondete!

    50 modi in cui vi consiglio di rispondere a chi vi dice “sei grasso”. Da usare a seconda delle situazioni. Sempre col sorriso in bocca. Senza masticare.

  • Non sono grasso, ho i vestiti infeltriti.
  • Non sono grasso, siete voi che siete magri.
  • Non sono grasso, me lo disse anche Pavarotti.
  • E’ perché ho il metabolismo basso, io sono grasso per non fargli venire i complessi.
  • Che ci vuoi fare? Mangio.
  • The winter is coming.
  • E ho il culo grosso per cacare gli stronzi come te.
  • Guarda il mio dito medio. Vedi grasso anche questo?
  • Grazie dell’informazione, non me ne ero accorto.
  • Non sono grasso, sono ricco di sostanze adipose.
  • La mia dietologa mi ha lasciato.
  • Mi vedi ingrassato? E ancora non è finita…
  • Ah sì? E io che aspettavo le doglie…
  • Ho le ossa grosse. Quelle delle bistecche…
  • Faccio la dieta del fantino. Ne mangio due al giorno.
  • Ho sbagliato a leggere le istruzioni della Philadelphia Light.
  • Purtroppo ero paribollo di Rotolone.
  • Mi hanno levato le tonsille da grande.
  • Giuro che non lo faccio più.
  • Ti sbagli, sei astigmatico.
  • Ho esagerato con il pranzo della comunione.
  • Che vuoi che sia, c’è di peggio. Tipo la peste, l’ebola.
  • Se me lo fai notare ancora ti rompo tutto.
  • Devo interpretare il Pinguino di Batman. Poi ritorno normale come Christian Bale. Giuro!
  • Tranquillo, passa.
  • Ma che mi rompi i coglioni?!!!!!!
  • Sono magro dentro.
  • Dopo due anni dalla nostra morte io e te peseremo uguale.
  • Secco fa rima con becco.
  • M’hai fatto venire fame.
  • Ma ti sei visto te, mostro?
  • Facevo il modello. Per Botero.
  • Ti avverto, sono intollerante ai cacacazzo.
  • Vuoi scommettere che tra un anno…
  • Una volta ho conosciuto uno che diceva a un altro che era grasso. Non l’ho più visto.
  • Sono stato a cena con Chuck Norris.
  • Grasso? Io?
  • Sì, e non so nemmeno tirare con l’arco.
  • Vedrai, m’hanno regalato dei vestiti larghi…
  • Faccio troppo sport, sono ingrossato.
  • Non so’ grasso, so’ gonfio! (cit.)
  • Sì, ora vogliamo parlare delle tue ascelle?
  • Io sto bene così! ma fammi riposare dieci minuti.
  • E se mi si blocca l’ascensore per un paio di settimane?
  • L’avevo capito da quando una tribù di cannibali ha iniziato a mandarmi gli auguri di compleanno.
  • Che ci vuoi fare, è la mia natura….
  • Sì, ma anche te sei pesante…
  • La ringrazio del suo interessamento nei confronti della mia salute ma ora mi scusi che ho una cena.
  • Mi hai fatto venire voglia di un pranzetto.
  • Sì lo so, sono grasso. Tu sai che tua madre fa delle gran scorpacciate di ghiande?
  • Foto di Giulio Storti

    garibalday

    Goffredo e Nando

    Duetto surreale ed improbabile tra Goffredo Mameli e Nando del Grande Fratello. Per chi pensa ancora che esista davvero il progresso.

    G: Ho 23 anni, mi chiamo Mameli e ho fatto “Fratelli d’Italia”

    N: Ho 23 anni, mi chiamo Nando e ho fatto Grande fratello, in Italia!

    G: Io Goffredo!

    N: Io, c’ho cardo!

    G: Sono amico di Camillo Benso di Cavour

    N: Sono amico di Maria Costanzo de Filippi

    G: Il mio amico Pietro Micca è saltato per aria e ci ha lasciato le penne, poveraccio!

    N: Il mio amico Pietro Taricone è saltato col paracadute e ci ha lasciato le penne, porello!

    G: Il mio risultato piu’ grande è stato scrivere l’inno per l’Italia: “Fratelli d’Italia…”

    N: Il mio sforzo piu’ grande è stato scrivere un sms: “Frate’…bella de zio…”

    G: Quando sono dentro la trincea e vedo che non ce la faccio piu’, mi frugo nelle tasche e tiro una bomba!

    N: Quando sono dentro alla discoteca e vedo che non ce la faccio più, mi frugo nelle tasche e tiro!

    G: Sono cresciuto con l’Italia divisa tra austriaci, francesi, papalini e borbonici, ma io sono italiano!

    N: Sono cresciuto con l’Italia divisa tra milanisti, interisti, romanisti e juventini, ma io so’ da’a Lazio!

    G: Mia madre mi dice “Figlio mio, prenditi la libertà'”

    N: Mia madre mi dice “Figlio mio, prenditi la terza media!”

    G: Io l’Italia la amo!

    N: Io l’Italia me la ingropperebbe proprio!

    G: Sono un bohemienne, mi sono invaghito di una fanciulla!

    N: Ao’ anch’io me so’ invaghito, ma mo’ scopamo o no?

    G: Ero con Garibaldi a Marsala

    N: Ero con Lele Mora all’Hollywood!

    G: Nino Bixio mi ha detto, Goffredo, sei stato nominato caporale!

    N: Alessia Marcuzzi mi ha detto, Nando, sei stato nominato!

    G: A Quarto eravamo piu’ di mille e tanti non ce l’hanno fatta!

    N: A Cinecittà eravamo piu’ di mille e tanti non ce l’hanno fatta! Tiè!

    G: Dopo l’Italia c’è da fare gli Italiani

    N: Dopo il Grande Fratello c’è Mai dire Grande Fratello!

    G: Dio benedica i carbonari

    N: Dio benedica la carbonara

    G: Viva Mazzini che ha fondato la Giovine Italia!

    N: Viva Signorini che ha fondato Diva e Donna!

    G: Onore ai ragazzi di Curtatone e Montanara!

    N: Onore ai ragazzi di Dolce e Gabbana!

    G: Sono Goffredo Mameli e per me l’Italia sara’ sempre una e una sola!

    N: Sono Nando del Grande fratello e per me l’Italia sarà sempre una sòla!

    G: W Verdi!

    N: W la sorca!

    G: “Che schiava di Roma iddio la creò!

    N: Chi chiava de Roma, perdio la chiavò!

    G: Siam pronti alla morte lItalia chiamò! Si!

    N: Al bivio di Orte un trans m’inculò! Si!

    G: Alle cinque giornate di Milano mi sono beccato una pallottola.

    N: Alle cinque serate de Milano Marittima me so’ beccato un erpes!

    G: Tra centocinquanta anni mi immagino un’Italia migliore!

    N: Tra centocinquanta anni se dio ce da’ salute, faremo Grande Fratello 160!

    Duetto scritto per il “Garibalday” organizzato dai Goliardi di Siena in occasione del 150° anniversario dell’Unità d’Italia il 14 maggio 2011. Fu recitato da me e da Roberto Ricci davanti ad una platea di giovani e meno giovani, tutti molto caldi. Io facevo Nando, Roby Goffredo. L’immagine è opera di Benedetto Cristofani.